Il Rabarbaro, una delle piante officinali più antiche

Fonte: Wikipedia

Il Rabarbaro (Rheum palmatum L. e Rheum officinale Baill.) è una delle piante officinali più antiche, era già usata in Cina dal 2700 a.C.
Appartiene alla famiglia delle Poligonaceae, come il grano saraceno e i romici. Le foglie annuali sono di grandi dimensioni, con lungo picciolo carnoso. Le nervature delle foglie, molto sporgenti nella facciata inferiore, sono spesso rossastre. L’infiorescenza, alta 1-2 metri, è una grande pannocchia con piccoli fiori. Il Rabarbaro ha odore gradevole e particolare, sapore astringente e amaro. Di questa pianta si usano i voluminosi rizomi, di colore rosso-bruno allo stato fresco, lunghi fino a 30 cm e larghi 10 cm.
La polvere del rizoma è giallo-arancio o giallo-bruno ed è caratterizzata dalla presenza di ossalato di calcio, da numerosi granuli di amido e da ammassi cellulari di colore giallo per via dei derivati antracenici. Il rabarbaro è utilizzato sotto forma di estratto fluido e di estratto secco.
I principi attivi più importanti sono glucosidi antrachinonici (responsabili dell’azione purgativa del rabarbaro) e sostanze tanniche.
A piccole dosi è un tonico astringente e uno stomachico, a dosi di 0,5-2 grammi è un lassativo e un debole purgante. La sua reazione si fa sentire dopo 8-12 ore, come nel caso di tutti i purganti antracenici. E’ controindicato in gravidanza e in caso di emorroidi. Completa le proprietà del rabarbaro l’attività epatica: infatti è un ottimo regolatore della secrezione biliare, senza però interferire sulla motilità della cistifellea.

Germogli di Rheum barbarum
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Il nome “rabarbaro” deriva dai nomi latini rheum e barbarum: in questo modo, nella tarda latinità, si sottolineava la provenienza esotica della droga. Il greco rheon e il persiano rewend, a esso affine, provengono dalla radice indoeuropea srew, cioè “scorrere”, da cui derivano numerose parole di tutte le lingue indoeuropee (reuma, la desinenza -rrea,..).
Il termine ebraico del rabarbaro, chamitz, dà l’idea del passaggio, della trasformazione, dato che ha significato di “fermentazione, lievitazione”. Per l’umanista e medico cinquecentesco Mattioli il Rheum barbarum proviene dall’Etiopia, chiamata dagli antichi Regione Barbarica o Trogloditica.
In un codice anonimo del secolo XV, edito a cura di Salvatore Pezzella, si confermano queste ipotesi sull’etimologia e se ne introduce ancora una: il Rheum barbarum si chiama così perché nasce tra le barbe di un albero. Il Mattioli riferisce che fu il medico bizantino Alessandro di Tralles a iniziare l’uso del rabarbaro nella medicina occidentale; pur se già conosciuto da Plinio e Galeno, era considerato pianta molto rara. Secondo l’antidotario romano del 1678, il rabarbaro deve essere pestato in un mortaio in cui precedentemente siano stati pestati frutti oleosi, come le mandorle, perché le parti sottili del rabarbaro evaporano facilmente.

Fiori di Rheum palmatum
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Ecco alcune ricette:
Atonia addominale: rabarbaro 5% – marrubio 30% – achillea 30% – centaurea 35%.
Uso: 35 grammi di miscela in un litro di acqua fredda, bollire 10 minuti, far raffreddare e filtrare; 100 ml. ogni volta, 2-3 volte al dì, lontano dai pasti.
Disintossicante epatico: un cucchiaio da tavola di rizoma di rabarbaro in mezzo litro d’acqua; bollire a fuoco basso per 15 minuti. Filtrare e bere a sorsi durante la giornata, con l’aggiunta di un cucchiaino di miele.
Vino aperitivo: far macerare per 10 giorni 40 grammi di rizoma di rabarbaro e 20 grammi di radice di genziana in un litro di vino bianco secco. Filtrare e bere a sorsi durante la giornata, con l’aggiunta di un cucchiaino di miele.
Antonella Filippi, in “ERBA MANENT” su Cascina Macondo, 31 marzo 2021