Il 24 marzo 1943 si mette in moto la macchina dello sciopero che coinvolge tutto il comparto industriale milanese

Dal contesto storico-politico degli anni ’40, si giunge alle iniziali agitazioni operaie nel marzo del 1943. A ciò contribuiscono una serie di variabili, alcune di esse comuni agli anni precedenti che tenderanno ad inasprire ulteriormente le privazioni e le difficoltà di una popolazione che dal settembre in poi lotterà per la vita o la morte. L’operaio della grande industria milanese, è un lavoratore difficilmente sostituibile sul mercato del lavoro poiché fortemente qualificato e dall’alto potere contrattuale essendo parte fondamentale dello sforzo produttivo ai fini bellici. Non v’è meraviglia delle particolari attenzioni ad esso dedicate da parte dei dirigenti industriali e della polizia fascista, attraverso un regime di fabbrica sempre più rigido per le industrie ad alto interesse strategico – militare. Accanto all’operaio di mestiere, un proletariato e sottoproletariato di fabbrica e di campagna largamente dequalificato, tormentato dai problemi della disoccupazione e dell’emarginazione quindi maggiormente ricattabile. Bassi salari, continuo aumento del costo della vita, cattivi approvvigionamenti, pessime condizioni abitative e sanitarie esasperate dai continui bombardamenti ed una disciplina del lavoro sempre più dura: tutto ciò contribuisce allo scoppio degli scioperi del marzo 1943, preceduti dalle primissime agitazioni già nell’ottobre del 1942. <3
Il 24 marzo si mette in moto la macchina dello sciopero che coinvolge tutto il comparto industriale milanese, dalla Falck di Sesto San Giovanni alla Pirelli di Milano, interessando anche l’hinterland circostante. <4 La vasta adesione (130.000 lavoratori) ed il livello di combattività dimostrati non saranno pari agli scioperi successivi di dicembre e di marzo ’44, ma quest’ultimi rappresentano un primo banco di prova in cui testare la capacità e la volontà di lotta della classe operaia. Prova superata con discreto successo, grazie al contributo di sparuti militanti comunisti nelle fabbriche che operarono come detonatori del malcontento operaio fissando le specifiche rivendicazioni economiche (192 ore pagate al mese, aumento delle razioni, indennità di carovita). Doppio successo se si considera che per la prima volta nella storia del ventennio uno sciopero rivendicativo riesce a cogliere completamente impreparato il fronte fascista, evidenziando la scarsa presa del partito sulle masse ed i primi sintomi d’implosione interna dello stesso. Farinacci dirà a Mussolini: «d’essere profondamente amareggiato come fascista e come italiano […]; dobbiamo preoccuparci di mantenere la compattezza del fronte interno e il prestigio del Governo […] perché il partito è assente ed impotente». <5 Seguirà una feroce repressione, con trecentocinquanta arresti e condanne nella sola Milano, secondo diverse fonti orali e testimonianze, ed un silenzio nelle fabbriche che si prolungherà sino alla caduta del regime il 25 luglio del 1943.
L’annuncio sulla destituzione del «cavalier Benito Mussolini» dato dall’Eiar, viene accolto euforicamente dalle piazze italiane che tenderanno sin dalla prima ora a gremirsi di folle entusiaste ed esultanti. L’ordine del giorno di Dino Grandi, battendo i corrispettivi di Farinacci e Scorza ebbe la maggioranza dei voti nella speciale seduta del Gran Consiglio che detronizzò Mussolini e spianò la strada a Badoglio e al suo colpo di stato.
Milano reagì alla pari delle altre città, riversandosi nelle piazze. Una folla di manifestanti ascoltò le parole del conte di Torino dal balcone di palazzo reale, mentre in altre zone della città esponenti antifascisti terranno per la prima volta i primi improvvisati comizi. Il giorno dopo si registrano ampie astensioni dal lavoro contravvenendo alla rigida disciplina di guerra, con gli scioperanti che intrecceranno rivendicazioni salariali, normative e politiche.
Il pugno duro della repressione non tarderà a farsi sentire: solo a Milano e provincia si contano ventisei morti. <6 Nel frattempo i promotori della Resistenza invocano l’aiuto dell’esercito già dall’agosto, scontrandosi però con il più duro ed intransigente niet. Le forze armate, tranne rarissime eccezioni, rifiuteranno drasticamente qualsiasi accordo sottobanco con i civili riguardo la consegna delle armi per far fronte alle nuove esigenze della lotta e faranno naufragare qualsiasi progetto di costituzione di una Guardia Nazionale da affiancare all’esercito. Il comandante della piazza per le forze armate a Milano è Vittorio Ruggero, ufficiale antifascista, che riceve da amico i delegati dei partiti Gasparotto, Li Causi, Grilli, Pizzoni. Concede loro un centinaio di fucili e molte mitragliatrici inusabili a causa della mancanza dei treppiedi. Contemporaneamente, da vecchio lupo dell’esercito, pur schierando le proprie truppe a difesa della città dagli attacchi tedeschi, avvia delle trattative con il colonnello Holbein e con il colonnello Frey della divisione SS Adolf Hitler. Il 10 settembre la radio legge un comunicato che informa la cittadinanza della resa dei tedeschi e la costituzione di Milano «città aperta». Ruggero per ristabilire l’ordine pubblico restaura la famosa circolare Roatta quella del “poco sangue versato inizialmente risparmia fiumi di sangue in seguito” spedita ai comandi già dal 26 Luglio. <7
Il giorno dopo i tedeschi si insediano con la forza a Milano arrestando il prefetto D’Antoni e lo stesso comandante militare della piazza milanese. Nel disarmante ed inevitabile disorientamento dell’esercito, si costituiscono lentamente e, laddove già presenti si sviluppano ulteriormente, a Milano e in tutta l’Italia, i primi comitati d’opposizione interpartitici, poi Comitati di Liberazione Nazionale. Da Milano e da Torino partono le più vigorose richieste per un rapido smantellamento delle strutture del fascismo, per l’allontanamento dei suoi rappresentanti e per l’avvio di rapide trattative armistiziali. Il governo risponde col rafforzamento del dispositivo militare e con provvedimenti destinati a neutralizzare ulteriormente l’apparato fascista (in tal senso Badoglio aveva già adottato delle misure e delle disposizioni atte ad isolare le forze fasciste dal centro della città già dal 25 Luglio e nelle quarantotto ore seguenti, temendo per l’appunto le reazioni delle camicie nere al colpo di stato).
I tumulti nelle fabbriche continueranno per tutto l’agosto, come conseguenza ma non solo, dei bombardamenti dell’8 e del 17 dello stesso mese, che mietono a Milano 193 vittime colpendo principalmente le zone popolari di Porta Genova, Porta Ticinese, Porta Garibaldi e i quartieri a nord dell’arena. All’indomani del primo dei grandi bombardamenti l’astensione dal lavoro è massiccia, quindicimila operai scioperano contro la guerra, il 17 agosto il numero sale ulteriormente a 65.000. Si segnalano in questo periodo gli accordi Buozzi – Mazzini sulla ricostituzione delle commissioni interne nelle fabbriche del 2 settembre del 1943, importantissimo veicolo di trasmissione delle parole d’ordine
antifasciste tra i lavoratori. <8
[NOTE]
3 A. Maiello, Sindacati in Europa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 306
4 L. Ganapini, Una città, la guerra (Milano 1939-1951), 1988, pp. 45-46
5 F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino, Einaudi, 1962, pp. 225-229
6 L. Ganapini, Una città, la guerra (Milano 1939-1951), 1988, pp. 50-51
7 G. Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Milano, Mondadori, 1966, pp. 8-9
8 A. Maiello, Sindacati in Europa, 2002, p. 306
Giorgio Vitale, L’altra Resistenza. I GAP a Milano, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2008-2009

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