I rapporti del SIM con l’OSS non furono sempre cristallini

Il governo statunitense, avendo come progetto politico per l’Italia una democrazia simile a quella USA, non aveva (almeno all’inizio) preclusioni nei confronti dei partiti di sinistra (erano così considerati sia il Partito comunista sia il Partito d’Azione) e quindi l’O.S.S. diede vita all’O.R.I. (Organizzazione Resistenza Italiana) che prese contatto con il CLN di Parri e Solari. Il dirigente era Raimondo Craveri Mondo (genero del filosofo Benedetto Croce), che incaricò il tenente medico di Marina Enzo Boeri Giovanni di creare una struttura informativa a Milano (missione Apricot Salem). Ad un certo punto nell’OSS si creò una situazione paradossale: la sezione da cui dipendeva l’ORI stava lavorando per armare e sviluppare un ampio movimento di resistenza nel Nord al fine di gettare le basi della democrazia in Italia, mentre l’X-2 (il controspionaggio) era occupato a salvare e riorganizzare forze clandestine fasciste con le quali contrastare la minaccia di una presa di potere dei comunisti nell’Italia liberata [45]. Da luglio 1944 il comando del Corpo Volontari della Libertà (CVL) fu composto da Parri, Longo e, su insistenza dei servizi britannici, dal generale Cadorna come consigliere militare, per tenere sotto controllo la Resistenza di sinistra inserendo persone gradite ai servizi britannici (monarchici e liberali) nella dirigenza. Sogno sostenne che per la nomina di Cadorna fu basilare il suo intervento. In questo schema di “regolarizzazione” dei vertici del CLN, nel novembre 1944, in concomitanza con la missione al Sud dei dirigenti Sogno, Parri, Pizzoni e Pajetta (che dovevano accordarsi con il governo del Sud per il proseguimento della Resistenza nell’Italia di Salò), il comandante di stato maggiore di Cadorna, Vittorio Palombo (già referente della Missione Oro che riceveva gli ordini da De Han e da Agrifoglio), insistette per sostituire Enzo Boeri, che si trovava al comando del servizio informativo del CLN, con l’agente della Calderini e suo uomo di fiducia Aldo Beolchini Bianchi[46], più gradito ai britannici, Beolchini fu però arrestato l’8/2/45 e Boeri mantenne l’incarico fino al suo arresto avvenuto il 27/3/45 [47]. A questo progetto si ribellò Fermo Solari, che faceva le veci di Parri, ed anche il maggiore Argenton fu solidale con Boeri. Fu deciso di rinviare ogni decisione fino al rientro di Parri, che però fu arrestato il 2/1/45, un paio di giorni dopo il suo ritorno a Milano. Il 2 febbraio Edgardo Sogno tentò un colpo di mano per liberarlo ma fu arrestato a sua volta, e l’8 febbraio furono arrestati Palombo e Beolchini. Di conseguenza il servizio informativo rimase in mano a Boeri fino al suo arresto avvenuto il 27 marzo, poi gli subentrò Tullio Lussi Landi (un docente dell’Università di Trieste), che poi si trovò con il Comando piazza del CVL nei giorni dell’insurrezione di Milano. Sulle circostanze di questo arresto vi sono versioni contrastanti che andiamo ad analizzare. La prima è quella che riportano Fucci e Tompkins[48] e che deriva dalle dichiarazioni del dottor Ugo, al secolo Luca Osteria, “un agente dell’OVRA coinvolto in un ambiguo doppio gioco con i partigiani” [49]: intervistato nel 1983, aveva asserito che all’arresto di Parri erano presenti due agenti britannici collaboratori di Sogno: Teresio Grange Catone e Riccardo De Haag Fausto. Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

[…] opportuno approfondire la relazione che intercorse tra l’Organizzazione Franchi (Of) di Edgardo Sogno, le missioni alleate paracadutate in Monferrato e le brigate partigiane che qui operavano. Inediti documenti, provenienti dai National Archives di Londra (1) che riguardano l’arruolamento di agenti italiani per il Soe (Special Operations Executive) danno nuova luce alle fonti orali, raccolte in questi anni, rivelando una realtà variegata e complessa, in cui il coraggio e la diplomazia cementarono la lotta al nazifascismo, ma lasciarono emergere alcune ambiguità. Intorno alla “Franchi” si formò un intreccio di collegamenti che ebbe come esito l’invio di esperti sabotatori paracadutati e promosse lanci di sten parabellum, divise, radio sia per le bande partigiane di pianura sia per quelle delle colline (2).
Nel primo periodo, dall’aprile all’agosto del 1944, si predisposero campi per i lanci che avrebbero dovuto essere effettuati secondo la tecnica dell’aviorifornimento, si organizzarono squadre per atti di sabotaggio e per operazioni speciali, si strinsero legami con le formazioni autonome locali, il Comando militare regionale piemontese (Cmrp) e la Svizzera. Sogno, di propria iniziativa, con un ristretto gruppo di resistenti, procurò sedi protette e mise a disposizione veicoli, rifornimenti e documenti per sfuggire al controllo nemico.
[NOTE]
(1) […] L’Esecutivo Operazioni speciali era un’organizzazione segreta inglese, nata nel 1940; in Italia operò dall’8 settembre 1943 con sabotaggi e incursioni dietro le linee tedesche. La rete di agenti sparsi in Europa era stata incaricata di sfruttare il ruolo dei gruppi di resistenza, presenti in ogni paese occupato, per favorire e coadiuvare le operazioni militari decise dall’Alto Comando interalleato. In Italia è nota con il nome di Number 1 Special Force e seguì le varie formazioni partigiane. Il Sim, citato in seguito nell’articolo, fu l’intelligence militare italiana dal 1925 al 1945, mentre l’Oss fu il servizio segreto statunitense operativo dal 1942 alla fine della guerra.
(2) Sogno definì l’Organizzazione Franchi «un’organizzazione militare autonoma, in collegamento diretto con gli Alleati e col comando italiano del Sud […]. Possono far parte appartenenti a qualsiasi partito antifascista o anche militari non iscritti a partiti purché sentano il dovere di battersi contro i tedeschi e la Repubblica Sociale, ma occorre in ogni caso che questa volontà di battersi esista e si basi su un motivo morale o politico essendo la nostra una guerra di volontari». EDGARDO SOGNO, La Franchi, storia di un’organizzazione partigiana, Bologna, Il Mulino, p. 102. Ribadì, che la “Franchi” era una sua concezione e non del servizio britannico, anzi, collegando fra loro le varie unità operative, si staccò dai principi di sicurezza delle missioni alleate. Le attività svolte (a partire da aprile ’44) furono: addestrare gruppi di sabotatori, accogliere le richieste provenienti dalle formazioni e organizzare campi per ricevere i lanci.
Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

Collegata all’OSS in Italia, fu l’Organizzazione per la Resistenza Italiana (ORI), costituita al Sud nel novembre 1943, in area azionista, che stabilì contatti al Nord, soprattutto con gruppi e ambienti della Resistenza dello stesso orientamento politico <10. Al SOE fu, invece, collegata la “Franchi”, organizzazione creata per iniziativa di Edgardo Sogno, nome in codice “Franchi”, ufficiale dell’esercito italiano che, dopo l’8 settembre, collaborò con i servizi segreti inglesi. Quest’ultima, a differenza della prima, ebbe carattere eminentemente attivistico e di formazione militare autonoma con funzioni, oltre che di lotta attiva, di coordinamento, in un sistema centralizzato, delle stazioni radio e del personale delle varie missioni e organizzazione di aviolanci e sabotaggio <11. Controverso fu, invece, il rapporto dell’OSS con il ricostituito Servizio Informazioni Militari (d’ora in poi SIM) del Regno d’Italia, il cui ruolo, come rilevò De Felice, è stato sino a oggi, se non ignorato, di certo troppo sottovalutato. Ottenuta l’autorizzazione degli Alleati nell’ottobre ’43, il Governo Badoglio e il Comando Supremo, una volta insediatisi a Brindisi, ricostituirono il SIM, la cui prima sezione, diretta dal colonnello Pompeo Agrifoglio, fu investita della funzione di collegamento con il nascente Movimento partigiano. La collaborazione con i servizi segreti alleati, soprattutto inglesi, fu limitata, tuttavia, ad alcuni specifici settori e, in particolare, a quelli della raccolta d’informazioni oltre la linea del fronte nemico e del trattamento dei partigiani nelle zone via via liberate. Quanto alle
attività di rifornimento alle formazioni partigiane, invece, il SOE fece ben presto sapere non solo di non disporre di ‹‹un’organizzazione adatta che potesse far fronte alle necessità derivanti dai bisogni di una presunta (…) guerriglia (…) ma [di non avere] intenzione, né interesse di armare in Italia un esercito›› e, al più, si proclamò disponibile a effettuare qualche operazione di ‹‹aviorifornimento di materiale (…) soprattutto per qualcuno dei nuclei più decisi e operanti nei settori che maggiormente potevano interessare la loro specifica attività <12. Entro questi limiti, dunque, il SIM, soprattutto in collaborazione con il SOE, dall’ottobre 1943 all’aprile 1945, poté inviare, oltre le linee nemiche, missioni speciali, alcune italiane e altre miste, e, dal gennaio 1944 all’aprile 1945, tonnellate di rifornimenti. I rapporti con l’OSS, invece, come si evidenzierà in particolare nel capitolo quinto, non furono sempre cristallini e, soprattutto, agevolmente definibili, a causa dell’eterogeneità degli orientamenti politici intestini all’OSS. Infatti, mentre alcuni agenti dell’OSS, quali il capitano André Bourgoin, arruolato da Donald Downes a Tangeri per il distaccamento dell’OSS presso la V Armata, privilegiarono l’azione coordinata con i servizi segreti italiani, altri ufficiali, quali l’agente del SI, Peter Tompkins, strinsero rapporti preferibilmente con l’area della Resistenza di fede comunista e socialista, mantenendo le distanze rispetto all’antifascismo di chiara fede monarchica e nutrendo dubbi sulla stessa utilità di qualsivoglia collegamento dei servizi segreti americani con quelli italiani. Ciò ovviamente, alimentò contrasti all’interno dello stesso OSS, che si ripercossero anche sul buon esito delle missioni lanciate nell’Italia occupata e, in definitiva, sulla stessa congruenza dei rapporti stilati dai suoi agenti sul campo. In ogni caso, a prescindere dalle divergenze di giudizi intestine all’OSS, è un fatto, riconosciuto anche dal SI, che il controllo del ricostituito SIM fu, per la massima parte, in mano inglese <13
[…] La liberazione dell’Italia dai tedeschi fu un obiettivo che gli Alleati condivisero con la Resistenza, per la quale la cacciata dei nazifascisti dalla penisola italiana costituì, però, il fine ultimo della guerra, mentre per gli Alleati questa era solo una fase intermedia, subordinata alla legge fondamentale della vittoria della guerra e funzionale alla sconfitta di tutte le potenze dell’Asse non solo in Italia. In questo quadro d’insieme, per gli Alleati, la Resistenza non doveva essere fonte di difficoltà ma di aiuto: non doveva porsi ambiziosi obiettivi da esercito, quali ‹‹liberare intere zone›› del paese ovvero ‹‹mobilitare›› le masse ma, al contrario, doveva essere di supporto alle azioni militari dietro le linee nemiche, raccogliere informazioni, compiere azioni di sabotaggio e attentati ai danni delle linee di trasporto e le fortificazioni nemiche, sì da impegnare e logorare i tedeschi, sempre secondo le direttive impartite loro dal Comandante Supremo delle Forze Alleate nel Mediterraneo. Una prospettiva, a ben vedere, molto differente da quella nella quale si posero i vertici della Resistenza e, in particolare, le formazioni comuniste e azioniste, che ne rappresentarono la più gran parte, che concepirono la guerra partigiana come ‹‹lotta a sfondo››, di contenuto politico, volta a provocare ‹‹un’insurrezione di massa›› che issasse di fronte sia alle popolazioni dei territori occupati sia agli Alleati e allo stesso Governo di Roma, il vessillo della ‹‹riscossa politica nazionale›› <15. Una non trascurabile divergenza di priorità, dunque, fu all’origine della distanza tra gli Alleati e la Resistenza, connotata di equivoci e conflitti concernenti, soprattutto, l’entità e i tempi delle operazioni in Italia, rispetto alle quali il SOE e l’OSS rivestirono un ruolo centrale. Tale profondo divario di interessi è, oggi, confermato dai rapporti segreti dell’OSS, tra i quali spicca un documento riservato stilato da alcuni ufficiali inglesi del servizio d’intelligence del X Corpo d’Armata che focalizza con precisione il punto.
“Essi [gli Italiani, nda] non combattono fianco a fianco con noi: sono divisi in due correnti principali, gli italiani che militano nelle aree occupate dai tedeschi, i quali, in attesa impaziente del nostro arrivo, privi di una leadership, presi da un inesorabile sentimento di smarrimento, si chiedono se i tedeschi li troveranno, e gli italiani del Sud, il cui principale interesse è la ricostruzione del loro miserabile Paese, mentre noi spingiamo i tedeschi lontano da loro. Le due parti sono tra loro collegate da simpatia politica e una comune organizzazione. Coloro che combattono al Nord sono i militanti politici al Sud ma in vista della cacciata del tedesco. Essi combattono per liberarsi dell’occupazione tedesca e non perché mirano a una vittoria degli Alleati a beneficio del mondo globalmente inteso, ma perché desiderano unirsi ai loro concittadini nel Sud nella ricostruzione dell’Italia. Le loro organizzazioni politiche sono simili e collegate […] così né l’una né l’altra vuole combattere la campagna che noi combattiamo ed entrambe hanno le medesime reazioni di fronte a quelli che reputano essere i nostri difetti”.
Il rapporto conferma la contrapposizione ideologica tra gli Alleati e la Resistenza italiana che, dal canto suo, rimproverava agli Alleati di non aver mantenuto fede alle promesse fatte al popolo italiano, poiché non solo non contribuivano alla ricostruzione democratica del Paese ma, al contrario, mostravano di perseguire una cieca politica di conservazione dello status quo.
“A parte il malcontento per la lentezza della nostra avanzata e la generale miseria e anarchia conseguente alla guerra e alla presenza nel territorio italiano di due armate, l’una disciplinata ma crudele, e l’altra amabile ma maleducata, gli italiani sono meravigliati e sconvolti dalla nostra amministrazione. Fidandosi della nostra propaganda […] essi si aspettavano che noi venissimo come liberatori adempiendo tutte le nostre promesse della Carta Atlantica e credendo negli slogans della nostra stessa propaganda […] Gli italiani sono risentiti del nostro governo, non solo per questo ma anche perché noi non mostriamo interesse per la democrazia che abbiamo promesso in Italia e sembriamo loro nutrire poco rancore per i fascisti. Siamo venuti in Italia con un sacco di discorsi sul combattere il Fascismo ma da quando siamo qui non abbiamo mostrato alcun segnale che noi preferiremmo gli antifascisti nel governo del paese e neanche molto entusiasmo nel liberare questi ultimi dalle prigioni in cui Mussolini li aveva mandati. Ciò ha naturalmente depresso il movimento antifascista e poiché esso è diffuso sia nelle aree occupate sia in quelle non occupate, tale depressione si estende attraverso tutta l’Italia dalla cima alla punta”.
La trattazione di questo complesso tema sarebbe sommaria, se non si distinguesse la posizione degli inglesi da quella degli americani. Le divergenze anglo-americane nella politica verso l’Italia nel 1943, che sono state avanti tratteggiate, riguardarono non solo la strategia militare e l’importanza del Teatro del Mediterraneo nello scacchiere della guerra, ma anche la questione istituzionale italiana e il riconoscimento della legittimità del Governo Badoglio e della Monarchia postfascista. Infatti, mentre gli americani e, in particolare, Roosevelt furono, almeno all’inizio, propensi a rinviare la questione politica alla fine del conflitto, soprattutto per mantenere salda l’unità dell’opinione pubblica composta, per una larga fetta, di italo-americani, invece, il Foreign Office (FO) e Churchill erano favorevoli alla conservazione della Monarchia sabauda, essendo quest’ultima reputata l’unica alternativa all’avvento del comunismo in Italia. Sennonché, tale linea politica britannica, nettamente conservatrice e filomonarchica, si scontrava con la chiara avversione per Casa Savoia e il Governo Badoglio e i suoi massimi esponenti che, per vent’anni, si erano macchiati della connivenza con il Fascismo e Mussolini ed erano quindi, secondo questo giudizio, responsabili della catastrofe della guerra in cui l’Italia era precipitata, che connotò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e i partiti antifascisti, dei quali molti esponenti erano iscritti nei libri paga del SOE britannico, quali Massimo “Max” Salvadori e Leo Valiani.
[…] Gli Alleati, soprattutto i britannici, considerarono sempre come controparte legittima la Monarchia e il Governo Badoglio, mentre si rifiutarono di vedere quale interlocutore politico il CLNAI, almeno sino agli ‹‹accordi di Roma›› del dicembre 1944 -il cui significato, come in seguito sarà tratteggiato, fu, però, ben lungi dall’essere quello di un riconoscimento della legittimità del suo potere- a maggior ragione, ove si consideri che alcuni suoi componenti, quale il socialista e futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ritenevano che il Comitato non dovesse assumersi la responsabilità dell’armistizio, perché semplicemente non aveva quella della guerra, che, invece, secondo questa prospettiva, ricadeva esclusivamente su Casa Savoia, Badoglio e il Governo che, per vent’anni, si erano macchiati di connivenza con il Regime. Chiariva bene questa grave contrapposizione ideologica Edgardo Sogno, il quale così scriveva: “Gli Inglesi non ci rimproverano il fascismo, ci rimproverano di aver fatto la guerra. E in questo fatto della guerra sentono che la colpa è tutta nostra. Gli antifascisti considerano, invece, la guerra come una conseguenza del fascismo, rimproverano agli Inglesi di avere appoggiato il fascismo, quando loro l’hanno combattuto, e si sentono quindi in credito anche verso gli Inglesi” <28. Questa profonda distanza ideologica tra gli Alleati e la Resistenza si riverberò sull’entità e i tempi delle operazioni in Italia e rispetto a essa il SOE e l’OSS rivestirono un ruolo centrale, ancorché con i dovuti distinguo sulle direttive che ciascuna delle due agenzie ricevette (o non) dai propri dirigenti sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei rappresentanti dei partiti antifascisti di chiara fede “rivoluzionaria”.
Nel capitolo quinto del presente lavoro, cui si rinvia, sono riportati ampi stralci dei rapporti dell’OSS di interesse.
[NOTE]
10 Raimondo Craveri, La campagna d’Italia e i servizi segreti. La storia dell’ORI. (1943-1945), La Pietra, Milano 1980.
11 Si cfr., a tal proposito, E. Sogno, L’organizzazione Franchi, il Mulino, Bologna, 1997.
12 Relazione del SIM al Comando Supremo in data 25 luglio 1944 sull’attività svolta dal 1° ottobre 1943 al 30 giugno 1944 ‹‹per organizzare il movimento di resistenza nell’Italia occupata›› citata in R. De Felice, Mussolini l’Alleato, II, La guerra civile 1943-1945, Einaudi, Torino 1997, nt. 2, pp. 204 e 205.
13 A tal fine, è illuminante un lucido memorandum inviato dal responsabile della sezione italiana del SI, Vincent Scamporino, al suo diretto superiore Earl Brennan, sul significato dei rapporti con il SIM, per la cui trattazione si rinvia al capitolo quinto del presente lavoro.
15 Depongono, in tale unanime direzione, i contributi di E. Sogno, alias “Franchi”, in E. Sogno, Guerra senza bandiera cit. nonché di A. Pizzoni, alias “Pietro Longhi”, Presidente del CLNAI sino alla liberazione, in Alla guida del CLNAI, Memorie per i figli cit.. Riferisce, in termini pressoché unanimi, il rapporto tra gli Alleati e la Resistenza, Ferruccio Parri, alias “Maurizio”, nella biografia a quest’ultimo dedicata da L. Polese Remaggi, La nazione perduta cit.
28 E. Sogno, Guerra senza bandiera cit. p. 177.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012