Gli stati dell’Europa Sudorientale attirarono, nel primo dopoguerra, le mire espansionistiche delle principali potenze occidentali

Il problema del riassetto dell’Europa Orientale dopo la prima guerra mondiale fu affrontato, in seno alla conferenza di Parigi, da una serie di trattati distinti, uno per ciascuno dei paesi alleati con la Germania.
L’assetto geografico della regione danubiano–balcanica fu completamente ridisegnato: dallo smembramento degli imperi centrali sorsero i c.d. “stati successori”, che si aggiunsero a quelli resisi indipendenti dall’impero ottomano tra la fine dell’Ottocento e le guerre balcaniche. <7
In base ai trattati di Saint Germain e di Trianon, dalle ceneri dell’impero austro ungarico nacquero tre nuovi stati: l’Austria, la Cecoslovacchia e l’Ungheria. <8
Quest’ultima, fortemente penalizzata dalle clausole territoriali stabilite a Trianon, perse i 2/3 del territorio e i 3/5 della popolazione del 1914. Lo stato rumeno, al contrario, fu significativamente rafforzato dall’annessione della Transilvania, della Bukovina e della Dobrugia Meridionale. Il trattato di Neuilly privò la Bulgaria dello sbocco sull’Egeo decretando la cessione della Tracia alla Grecia e della Macedonia alla Jugoslavia. <9 Con la pace di Sèvres, infine, il territorio del nuovo stato turco fu limitato all’Anatolia e a Costantinopoli, mentre il resto dell’ex impero ottomano venne diviso in una serie di stati indipendenti sotto il protettorato delle potenze dell’Intesa. <10
Tali determinazioni territoriali rispecchiarono i principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli che erano stati propagandati a Parigi dal presidente americano Wilson. Tuttavia il sistema nato a Versailles provocò la diffusione di malcontenti e rivendicazioni politiche: era infatti impossibile tracciare dei confini nazionali che rispecchiassero anche i confini storici, etnici e culturali in una regione, come quella balcanica, contraddistinta tradizionalmente da una continua sovrapposizione di popolazioni e culture diverse.
La creazione di una serie di stati “cuscinetto” al posto dell’impero asburgico, che aveva costituito in precedenza una vasta unità geopolitica in grado di contenere le spinte centrifughe della “polveriera balcanica”, creò dunque il problema delle minoranze etniche e diede spazio allo sviluppo di movimenti revisionisti mai completamente sopiti fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Proprio il tema del revisionismo fu il leitmotiv nelle questioni di politica estera riguardanti la penisola balcanica negli anni tra le due guerre.
In contrapposizione alle istanze revisioniste, non solo magiare e bulgare, ma anche tedesche e italiane, la Romania, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia condussero una comune politica internazionale, che sarebbe stata sanzionata nel maggio 1929 dalla costituzione della “piccola intesa”. La Francia, al fine di contenere la minaccia di revanche tedesca e la pressione del comunismo sovietico in Europa Orientale, soprattutto in seguito al trattato di Locarno, <11 si erse a garante dei trattati di pace, sostenendo la politica della “piccola intesa”.
I problemi politici, le difficoltà economiche ed il basso tenore di vita generarono nei nuovi stati un diffuso clima di malcontento e disordine, che sfociò nella costituzione di governi di stampo nazionalista e conservatore.
Tra questi vanno ricordati, ad esempio, il partito contadino di Aleksander Stambolijski che prese il potere in Bulgaria (1919-1923) ed il partito radicale serbo guidato da Nikola Pasic, che ottenne la maggioranza nelle prime elezioni del nuovo stato iugoslavo. In Ungheria, invece, ebbe vita breve la repubblica popolare con a capo Bela Kun, che aveva avviato la riforma agraria e promosso nazionalizzazioni e consigli operai. <12
In Albania, infine, dopo l’abbandono delle truppe italiane stanziate a Valona e la riaffermazione dell’indipendenza del paese, avvenuta nel 1920, si andò incontro ad un periodo di instabilità politica con l’alternanza al potere di varie fazioni fino al 1924, quando Ahmed Zogu, con il sostegno della Jugoslavia, pose fine al governo democratico del vescovo ortodosso Fan Noli e proclamò la repubblica parlamentare.
Nonostante l’instabilità politica e la debolezza finanziaria, tuttavia, gli stati dell’Europa Sudorientale attirarono, nel primo dopoguerra, le mire espansionistiche delle principali potenze occidentali. La regione balcanica, infatti, costituiva un territorio di oltre un milione di chilometri quadrati, popolato da circa quaranta milioni di abitanti, ideale mercato per il collocamento di prodotti finiti e per il rifornimento di cereali, carbone, petrolio, tabacco e legname a basso costo.
Inoltre, rappresentando un naturale collegamento tra l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa, i paesi dell’area balcanica rivestivano una funzione commerciale, strategica e militare di grande importanza, sia per l’espansione ad Est, sia per il consolidamento delle posizioni acquisite dalle maggiori potenze mondiali nel bacino del Mediterraneo.
[NOTE]
7 In seguito al Congresso di Berlino del 1878 avevano conquistato l’indipendenza la Romania, il Montenegro e la Serbia. La Bulgaria si era dichiarata indipendente in seguito ai moti rivoluzionari del 1908, mentre dopo la seconda guerra balcanica (1913) fu costituito sotto forma di principato lo stato albanese. G. FRANZINETTI, I Balcani 1878-2001, Roma, Carocci, 2001.
8 Le regioni ex-austriache della Boemia e della Moravia formarono insieme ai territori Slovacchi la Cecoslovacchia. L’Ungheria perse gran parte del suo territorio cedendo la Transilvania alla Romania, la Croazia–Slavonia alla Jugoslavia e la Rutenia alla Cecoslovacchia. C. FEINSTEIN, P. TEMIN, G. TONIOLO, L’economia europea tra le due guerre, Bari, Laterza, 1998, pp. 30-34. D.H. ALDCROFT, Da Versailles a Wall Street (1919-1929), Milano, Etas Libri, 1983.
9 Il regno Serbo-Croato-Sloveno si era a sua volta formato nel 1918 dall’unione delle regioni ex austriache della Slovenia, della Dalmazia e della Bosnia Herzegovina con la Croazia (ex ungherese), la Serbia e il Montenegro.
10 Le deliberazioni del Trattato di Sèvres furono completamente sovvertite dalla rivolta dei “giovani nazionalisti turchi” guidati da Mustafa Kemal Ataturk. Ottenuta la maggioranza in Parlamento, nel 1920 il nuovo governo nazionalista lanciò l’offensiva ai greci che occupavano le regioni di Smirne e la Tracia, costringendoli alla ritirata. Fu in tal modo proclamata l’indipendenza dello stato turco, riconosciuta poi in sede internazionale dal Trattato di Losanna del 24/7/1923. Il governo di Kemal Ataturk avviò una politica di ricostruzione del paese di tipo capitalista, sul modello dei paesi occidentali. I contingenti militari di Francia, Inghilterra e Italia, che occupavano varie regioni dell’Anatolia dalla fine della guerra, abbandonarono il paese nel corso del 1922.
11 Con gli accordi firmati a Locarno nell’ottobre 1925 (vi presero parte Briand per la Francia, Mussolini e Scialoja per l’Italia, Stresemann per la Germania, Chamberlain per la Gran Bretagna e Vandervelde per il Belgio) furono garantite le frontiere tedesche soltanto ad ovest, sul Reno: la Francia veniva garantita da nuove invasioni tedesche, ma di fatto gli accordi restituirono alla Germania il ruolo di grande potenza con parità di diritti rispetto agli altri stati,
lasciando irrisolto il problema delle rivendicazioni tedesche ad Est dei propri confini.
12 Al governo del paese, grazie al sostegno di Francia e Inghilterra, fu ripristinata la monarchia (al posto dell’imperatore Carlo d’Asburgo il paese fu governato da un reggente, Miclos Horthy). F. GUIDA, R. TOLOMEO (a cura di), Italia e Ungheria, (1920-1960): storia, politica, società, letteratura, fonti: atti dell’incontro di studio tenuto a Roma il 9-11 novembre 1989, Cosenza, Edizioni Periferia, 1991. E. FOSSATI, L’Ungheria Economica: studi e ricerche sulle condizioni demografiche, economiche e finanziarie dell’Ungheria attuale, Padova, Cedam, 1929.
Lorenzo Iaselli, L’espansione economico-finanziaria italiana nei Balcani durante il fascismo, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2006