
Marcello Dell’Utri aveva conosciuto Silvio Berlusconi tra i banchi dell’Università degli Studi di Milano, in via Festa del Perdono 7, dove aveva iniziato a studiare nel 1961. Tra i due fu subito intesa, tanto che arrivarono a fondare insieme anche una squadra di calcio, la Torrescalla, dal nome dello studentato universitario dell’Opus Dei nel quale Dell’Utri risiedeva <883. Dopo la laurea e un impiego a Roma, Dell’Utri tornò a Palermo per via delle precarie condizioni di salute del padre e lì strinse amicizia con Gaetano Cinà e Vittorio Mangano, membri di primo piano di Cosa Nostra.
Nel 1973 Berlusconi lo convinse a tornare a Milano e così iniziò a lavorare per la Edilnord, anche se l’assunzione ufficialmente avvenne nel 1974. In quanto segretario particolare di Berlusconi, tra il 16 e il 29 maggio di quell’anno organizzò un incontro tra Silvio Berlusconi e il boss Stefano Bontate (il «principe» di Villagrazia a capo della Famiglia di S. Maria del Gesù), accompagnato da Gaetano Cinà (affiliato alla Famiglia di Malaspina), Girolamo Teresi (sottocapo della Famiglia di Bontate) e Francesco Di Carlo (destinato a diventare sottocapo della Famiglia di Altofonte e implicato nella vicenda Calvi, come abbiamo visto). Proprio quest’ultimo riferì i termini dell’incontro organizzato con Dell’Utri, durante il processo a suo carico <884.
Nel 1977, tuttavia, Dell’Utri lasciò Berlusconi per andare a lavorare insieme al gemello Alberto come dirigente nel gruppo di un finanziere siciliano originario di Sommatino, in provincia di Caltanissetta, Filippo Alberto Rapisarda, amico di molti mafiosi e con diversi precedenti penali alle spalle. A raccomandarlo, lo raccontò lui stesso ai magistrati palermitani durante il processo Dell’Utri, il già citato Gaetano Cinà.
La sua holding, la Inim, aveva sede nello splendido palazzo cinquecentesco di via Chiaravalle al civico 7, a 150 metri dall’Università Statale e, soprattutto, a 200 metri dagli uffici della Citam in via Larga 13, dove, come segnalato dal rapporto n.0500/CAS della Criminalpol del 13 aprile 1981 alla base dell’operazione San Valentino, erano domiciliate decine di società che riciclavano i proventi illeciti di Cosa Nostra al Nord. Diretta dal palermitano Pasquale Pergola, negli uffici di via Larga 13 erano di casa uomini d’onore del calibro di Tommaso Buscetta, dei Fratelli Bono, di Ugo Martello (detto Tanino) e di Gaetano Carollo, vicecapo della Famiglia di Resuttana che, secondo il collaboratore Gaspare Mutolo, era solito affidare i suoi capitali illeciti da riciclare a Salvatore Ligresti <885, sebbene questa circostanza non sia mai stata confermata in sede giudiziaria, come abbiamo visto.
Tutti esponenti di Cosa Nostra che poi finivano per fare visita anche agli uffici in Via Chiaravalle, come rivelò anche Angelo Siino, ex-ministro dei Lavori Pubblici di Totò Riina <886.
Nel rapporto della Criminalpol ampio spazio veniva dedicato anche a Rapisarda e alle sue holding, la Inim e la Raca, proprio dopo aver passato in rassegna la famosa intercettazione del 14 febbraio 1980 tra Dell’Utri e Vittorio Mangano, con quest’ultimo che voleva vendergli “un cavallo” <887: a pagina 176 si legge infatti che «l’aver accertato attraverso la citata intercettazione telefonica il “contatto” tra il Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare sempre la sua particolare pericolosità criminale, e il Dell’Utri Marcello, ne consegue necessariamente che anche la Inim spa e la Raca spa, operanti in Milano, “sono società commerciali gestite dalla mafia e di cui la mafia si serve per riciclare il denaro sporco provento di illeciti”» <888. Il rapporto evidenziava come tra i soci occulti, tramite l’ingegnere Francesco Paolo Alamia, figurasse anche l’ex-sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, responsabile negli anni ’60 del c.d. sacco edilizio del capoluogo siciliano.
Angelo Caristi, socio e amministratore delegato della Inim, ricordò che più volte il finanziere siciliano faceva riferimento a Bontate e Teresi nelle conversazioni coi dipendenti: «Rapisarda ci diceva sempre che il denaro che lui investiva doveva essere restituito ai reali proprietari perché si trattava di persone pericolose. Con noi lui si vantava di essere il braccio finanziario di ambienti affaristico-malavitosi» <889.
Anche Rocco Remo Morgana, ex-socio di Rapisarda, raccontò ai magistrati che «dal 1975 al Natale del 1978 gli uffici dell’Inim erano frequentati da persone di origine siciliana tra i quali ricordo Mimmo Teresi, Stefano Bontate, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, e uno dei fratelli Bono, credo che si trattasse di Pippo. Io personalmente in via Chiaravalle ho incontrato più volte Bontate e Teresi» <890.
A metà degli anni ’70 Rapisarda si ritrovò così a capo del secondo gruppo immobiliare italiano, superato solo dalla Beni Immobili Italia di Anna Bonomi Bolchini. Merito non solamente dei miliardi dei boss siciliani, ma anche di alcune scelte strategiche come, ad esempio, quella di avere come commercialista l’accademico ed economista Luigi Guatri, futuro rettore (1984-1989), vicepresidente (1999-2018) e oggi presidente onorario della Bocconi, che fu «un formidabile lasciapassare verso il sistema bancario» <891. Nel 1978 Rapisarda si separò da Alamia, in una sorta di preludio della seconda guerra di mafia: l’ingegnere siciliano vicino ai Corleonesi tenne per sé la Inim, benché svuotata di molte società, mentre Rapisarda, legato a Bontate, fondò con Dell’Utri la Gestim.
Nel 1979 l’avventura di Dell’Utri con Rapisarda finì con quest’ultimo in fuga prima in Francia e poi in Venezuela per il crack della Venchi Unica e della Bresciano e il fratello Alberto in galera. Anche se figurò alle dipendenze di Berlusconi solo dal 1982, la sentenza della Cassazione ha dimostrato che sin da quel 1979 il co-fondatore di Forza Italia era tornato alla corte del Cavaliere, con il quale aveva tuttavia continuato a mantenere rapporti d’affari tramite Rapisarda <892. Iniziò a quel punto una lunga epopea <893 attorno al fallimento del gruppo immobiliare che vide contrapposti e poi riappacificati più volte Rapisarda e Dell’Utri, che durò fino alla fine degli anni ’90, con il finanziere siciliano che rese dichiarazioni incredibili ai magistrati di Palermo sugli investimenti di Cosa Nostra addirittura in Canale 5, salvo poi ritrattare, in un continuo tira e molla di rinnovate accuse e smentite <894.
Tanto che il primo club di Forza Italia nacque proprio in via Chiaravalle 7, all’insaputa persino di Ezio Cartotto, il politologo assunto come consulente in Publitalia per lavorare alla creazione del partito berlusconiano, nonostante Rapisarda avesse già pubblicamente rilasciato dichiarazioni in cui sosteneva che il Cavaliere avesse preso i soldi da esponenti di Cosa nostra <895.
Su un punto, tuttavia, Dell’Utri e Rapisarda hanno sempre concordato, cioè l’estraneità al vincolo associativo mafioso del finanziere siciliano. Davanti ai giudici palermitani, il braccio destro di Berlusconi tenne una «lezione» sui motivi per i quali Rapisarda non avrebbe mai potuto essere affiliato a Cosa Nostra: «Il discorso di Rapisarda mafioso fa ridere, perché se c’è uno che non può essere mafioso è Rapisarda, in quanto proprio è uno che parla in maniera sconsiderata di tutto e di tutti e credo che sia anche una persona che non ha nessun senso dell’amicizia, nessun rispetto dell’amicizia, cioè secondo me è completamente fuori da ogni logica diciamo così di carattere semplicemente da questo punto di vista mafioso» <896.
Insomma, Rapisarda aveva un habitus compatibile con quello mafioso, ma non poteva essere un mafioso perché difettava di una dote imprescindibile, quella del silenzio e del rispetto dell’amicizia. Qualità «morali» che, come ha osservato la sentenza di 1° grado, Dell’Utri invece doveva aver ben appreso dalla frequentazione ultra-decennale coi già citati esponenti di primo piano di Cosa Nostra. E che doveva evidentemente aver ben appreso anche Silvio Berlusconi, se arrivò persino a definire un eroe Vittorio Mangano per non aver mai parlato in tanti anni dei rapporti con lui e Dell’Utri, a 4 giorni dalle elezioni politiche del 2008 <897.
Rapisarda tuttavia dimostrò in più di un’occasione di conoscere bene le regole del «campo mafioso» tanto quanto quelle dell’alta società milanese con cui intratteneva rapporti, se in un’intervista che rilasciò durante la sua latitanza in Francia dichiarò, senza andare troppo per il sottile: «I finanziatori occulti dell’Inim hanno giurato vendetta nei miei confronti. Sono costretto a vivere alla macchia. Ho un debito nei loro confronti, ma anche se pago entro la data che mi hanno imposto, la fine del 1980, dovrò egualmente temere per la mia vita. Perché oltre ai soldi quelli esigono un assoluto silenzio. Sanno infatti che io conosco molte cose che possono far tremare tanta gente importante. Ma dovrebbero anche sapere che se mi succederà qualche cosa verranno fuori i documenti che sono depositati in un posto sicuro sicuro» <898.
Insomma, tanto Dell’Utri che Rapisarda si potrebbero considerare esemplari di quella specie particolare di Giano Bifronte in grado di intrattenere rapporti tanto con l’alta società milanese che con i vertici di Cosa Nostra, di cui infatti divennero interlocutori e «uomini cerniera» col tessuto economico milanese.
[NOTE]
883 Sentenza Dell’Utri 1° grado, p. 71.
884 SIOTTO, M.C. (2014). Sentenza 643/14 contro Dell’Utri Marcello, Corte di Cassazione – I sezione penale, 9 maggio, p. 48.
885 GOMEZ, P., SISTI, L. (1997). L’intoccabile. Berlusconi e Cosa Nostra, Milano, Kaos edizioni, p.84
886 Sentenza Dell’Utri 1° grado, p. 747.
887 L’interpretazione di quella telefonata è al centro anche dell’oramai nota ultima intervista di Paolo Borsellino, che individuò nel “cavallo” una partita di droga.
888 Corsivo nostro.
889 Il racconto particolareggiato si ritrova nella Sentenza Dell’Utri 1° grado, p. 730.
890 Ibidem
891 Ibidem. Davanti ai giudici di Torino, Dell’Utri riferì il 5 ottobre 1996 che gli ingenti “prestiti” ricevuti tra il ’91 e il ’92 da Rapisarda avvennero anche attraverso una finanziaria che faceva capo a Guatri. Si veda Travaglio, Veltri, op. cit., p. 182.
al Tribunale di Torino il 5 ottobre 1996
892 Sentenza 643/14 contro Dell’Utri Marcello, Corte di Cassazione, pp. 49-50.
893 Per approfondire, si veda Gomez, Sisti, op. cit., p. 86 e ss.
894 Si veda al riguardo, Gianni Barbacetto, Antonella Mascali, “Parlerò, parlerò…”. Se ne va per sempre l’uomo che parlava a intermittenza, il Fatto Quotidiano, 1° settembre 2011.
895 Giuseppe Pipitone, Forza Italia 25 anni dopo. Ezio Cartotto, l’ideatore dietro le quinte: “Vi racconto i segreti della discesa in campo. E perché oggi me ne vergogno. Berlusconi? Ora è patetico e triste”, il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2019.
896 Sentenza Dell’Utri 1° grado, p. 287. Corsivi nostri.
897 Marco Travaglio, Il Cavaliere: sì, Mangano era un eroe, la Repubblica, 10 aprile 2008.
898 Citato in Gomez, Sisti, op. cit., p. 87.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020