Fu soprattutto l’Italia, tuttavia, la fonte principale delle preoccupazioni degli intellettuali non comunisti e del governo statunitense

L’attività di propaganda culturale dell’USIA, che operava ufficialmente attraverso il sistema di uffici United States Information Service (USIS), il nome con cui l’agenzia era conosciuta in buona parte del mondo, veniva coadiuvata da quella della CIA. L’agenzia di Intelligence non aveva, in realtà, il compito di occuparsi della politica culturale statunitense: quando si trattò di fornire appoggi finanziari, consulenze e strutture a gruppi di intellettuali o a singoli, il personale della CIA agì infatti in modo segreto, tessendo una rete di rapporti privati. Per questa ragione, nella vulgata giornalistica e in alcuni testi di storia, l’azione della CIA è stata letta come uno dei modi in cui il governo federale influenzava in modo scorretto gli equilibri politici di paesi esteri, favorendo i gruppi che simpatizzavano con gli ideali liberaldemocratici e capitalisti e penalizzando coloro che avevano convinzioni marxiste. Tra questi c’è il libro della giornalista e storica inglese Francis Stonors Saunders, pubblicato nel 1999 e tradotto in italiano con il titolo “Gli intellettuali e la CIA: la strategia della Guerra fredda culturale”. Il libro di Saunders era incentrato, in particolare, sull’attività del Congresso per la Libertà della Cultura (Congress for Cultural Freedom, CCF), una rete di intellettuali che operò tra le due sponde dell’Atlantico in difesa dei valori liberali e dell’anticomunismo. L’attività del CCF venne finanziata e sostenuta dalla CIA dalle sue origini sin quando fu interrotta bruscamente nel 1967, allorché la notizia che la rete di intellettuali aveva ricevuto fondi dalla CIA divenne di dominio pubblico suscitando un’ondata di indignazione generale. Il CCF fu sciolto e rifondato con il nome di Associazione Internazionale per la Libertà della Cultura (International Association for Cultural Freedom, IACF) ma restò in vita per pochissimi anni. Probabilmente la più nota organizzazione della Guerra fredda culturale, la storia del CCF ha affascinato un buon numero di storici, anche grazie al ricco archivio presso l’Università di Chicago, le cui informazioni sono state completate anche dal racconto di alcuni dei suoi esponenti e da una ricca produzione di riviste, pamphlet e volumi […] Nel marzo del 1949, il National Council of the Arts, Sciences and Professions organizzò una conferenza all’Hotel Waldorf Astoria di New York. Fu un’occasione di incontro per intellettuali di tutto il mondo, l’ultima prima di una frattura che creò due fronti disegnati su quelli creati dalla Guerra fredda. Tra gli organizzatori dell’evento c’erano Lillian Hellman, Norman Mailer, Aaron Copland e Arthur Miller. Sponsorizzarono l’evento, tra gli altri, Charlie Chaplin, Albert Einstein e Leonard Bernstein. A creare scompiglio fu, però, la decisione di un altro gruppo di intellettuali americani di riunirsi presso la Freedom House come forma di protesta per la libertà della cultura. Mentre arrivavano messaggi di solidarietà al gruppo da parte di Bertrand Russell, Arthur Koestler e T.S. Eliot, Dwight MacDonald e Mary McCarthy intervennero al Waldorf Astoria per porre una serie di domande scomode sulla libertà intellettuale in Unione Sovietica <84. Questa mobilitazione della sinistra non comunista attirò l’attenzione del Dipartimento di Stato americano e del capo dell’Office of Policy Coordination: le basi per la creazione di una rete tra governo federale ed intellettuali erano state gettate.
Fu solo nel 1950, a Berlino, che si tenne il primo Congresso per la libertà della cultura; era stato organizzato da Hook, il direttore della rivista tedesca Melvin Lasky, ex trozkista convertitosi a ideali socialdemocratici, gli ex stalinisti Franz Borkenau e Ruth Fischer, a quell’epoca membro dei servizi d’Intelligence statunitensi il cui ruolo nella vicenda non è ancora chiaro. Alla prima riunione del CCF parteciparono più di cento persone, la maggior parte dei quali americani e tedeschi, tra cui il politologo Richard Löwenthal e il filosofo Franz Neumann. C’erano anche rifugiati politici da varie nazioni, tra i quali Sol Levitas, Nicolas Nabokov e Ignazio Silone, che aveva lasciato il Partito comunista italiano negli anni Trenta <85. Fu il primo passo per stabilire che il CCF avrebbe avuto sezioni in diversi paesi, in primo luogo in quelli in cui il “pericolo rosso” era maggiore, Italia e Francia. I partiti comunisti dei due paesi avevano un buon numero di consensi ed erano impegnati a mettere in piedi un apparato interno per promuovere la propria politica culturale. Seguendo l’esempio del partito italiano, il Partito comunista francese (PCF) creò una sezione dedicata allo studio e alla promozione culturale all’interno del proprio Comitato Centrale diretta da François Billoux, divisa in tre commissioni: una per le scuole di partito, una per l’educazione generale ed una per la formazione degli intellettuali, guidata da Laurent Casanova <86.
Fu soprattutto l’Italia, tuttavia, la fonte principale delle preoccupazioni degli intellettuali non comunisti e del governo statunitense: nonostante l’esclusione delle sinistre dal governo risultato dall’esperienza resistenziale del 1947, in vista delle elezioni dell’anno successivo il governo federale intervenne con operazioni di psychological warfare nel paese finanziando in modo occulto le forze politiche anticomuniste <87. Anche quando fu chiaro che la Democrazia cristiana guidata da Alcide De Gasperi aveva ottenuto la maggioranza dei seggi in parlamento e avrebbe quindi formato il governo, la fragilità delle istituzioni e la recentissima esperienza fascista, oltre alla irrisolta questione del confine con la Jugoslavia, sollevavano i timori degli altri paesi europei e degli Stati Uniti stessi, che attesero prima di coinvolgere l’Italia nel Patto atlantico <88. Il Partito comunista era il più grande fuori dal blocco sovietico: nel 1948, quando si presentò alle elezioni in un fronte popolare con il Partito socialista, ottenne il 19% dei voti. Nel 1953 raggiunse invece il 23% dei consensi. Il PCI poteva, inoltre, contare sul supporto del PSI guidato da Pietro Nenni e della popolarità del suo Segretario generale, Palmiro Togliatti, che era stato uno dei leader della Resistenza al nazi-fascismo <89.
Per queste ragioni, la situazione politica e sociale era particolarmente tesa. Per gli intellettuali non era più possibile identificarsi nell’idealismo crociano che aveva plasmato la generazione di anti-fascisti durante la guerra; occorreva prendere una posizione più nettamente a favore della cultura cristiana e filo-atlantica, supportata dalla DC, o di quella marxista dominata dal PCI. Le radici intellettuali di quest’ultimo, che aveva tra i fondatori Antonio Gramsci e lo stesso Palmiro Togliatti, furono rispettate anche nel reclutamento dei dirigenti del secondo dopoguerra: Giorgio Amendola, Lucio Lombardo Radice, Pietro Ingrao, Carlo Cassola, Emilio Sereni, solo per citare alcuni nomi, ottennero ruoli di primo piano all’interno del partito. Sereni fu nominato anche capo della sezione culturale del partito, che aveva il preciso scopo di ampliare l’influenza ideologica del partito sulla società e del coinvolgimento degli intellettuali in quel progetto, in linea con la filosofia dell’egemonia culturale promossa da Gramsci. Nonostante il controllo esercitato sul partito e la sua visione della cultura da parte dell’URSS attraverso il Cominform, creato nel 1947, il PCI mantenne perciò la sua attrattiva e una posizione distinta, almeno a livello ufficioso, da quella imposta dal PCUS. Scrittori, registi e pittori, da Elio Vittorini a Italo Calvino a Roberto Rossellini a Renato Guttuso furono tutti vicini al Partito comunista nel secondo dopoguerra <90.
Esisteva, tuttavia, una parte di intellettuali italiani che non si identificava, o non si identificava più, con la sinistra comunista: anche in questo caso, bisogna fare una distinzione. La ricerca di una “terza via” intellettuale tra le sub-culture cristiana e marxista ebbe matrici e metodi molto diversi. Come si è detto, Ignazio Silone era impegnato nella creazione del CCF fin dalle sue origini. Dopo la riunione che si svolse a Milano nel 1955, incentrato sulla fine delle ideologie il cui dibattito venne reso famoso dal volume di Bell, nacque l’idea di fondare una rivista italiana sponsorizzata dal CCF. Se ne occuparono Silone stesso e Nicola Chiaromonte; nel 1956, nacque “Tempo Presente”, che ospitò saggi di intellettuali italiani e stranieri e che, soprattutto, aveva una rubrica curata da Silone stesso che interveniva nel dibattito politico e che cercava di creare uno spazio per la convergenza con altri intellettuali che si spendevano per la ricerca di una corrente intellettuale di sinistra non comunista, come Mario Pannunzio attraverso la pubblicazione della rivista “Il Mondo”, Adriano Olivetti con “Comunità” e Piero Calamandrei con “Il Ponte” <91. “Tempo Presente” era solo una delle riviste fondate o finanziate dal CCF: tra queste, c’erano “Preuves” in Francia, “Encounter” in Inghilterra, “Cuadernos” in Spagna, “Forum” in Svizzera e “Der Monat” in Germania. In tutti questi paesi del vecchio continente, emersero figure del socialismo liberale che si sarebbero messe a disposizione per combattere le simpatie marxiste che il pensatore conservatore francese Raymond Aron definì l’«oppio degli intellettuali» <92.
Aron stesso, del resto, collaborò con il CCF e divenne uno dei personaggi più influenti nella definizione dei rapporti culturali tra Stati Uniti ed Europa. Aron era un conservatore e non aveva mai avuto simpatie marxiste: fino al 1949, coloro che fondarono il CCF lo ritenevano «troppo anticomunista» per essere invitato ai loro incontri <93.
Con il progredire della Guerra fredda, tuttavia, queste divergenze vennero superate in favore dell’obiettivo comune della difesa della democrazia e della lotta al comunismo. La storia del CCF non fu molto lunga. Quando la rivista “Rampart” rivelò le connessioni tra il CCF e la CIA, nel 1967, scoppiò uno scandalo e molti intellettuali, che si dichiaravano (e probabilmente, in molti casi erano veramente) ignari dei finanziamenti occulti dell’agenzia, abbandonarono l’organizzazione <94. Grazie all’intervento della Fondazione Ford, le attività del CCF poterono continuare. L’associazione fu sciolta e ricostituita con il nome di International Association for Cultural Freedom (IACF) ma la credibilità dei suoi membri era stata ormai minata. L’editore Giangiacomo Feltrinelli, ad esempio, si rifiutò di pubblicare un saggio sul Vietnam perché tradotto da Nicola Chiaromonte <95. Che un’organizzazione che proclamava di voler difendere la libertà di pensiero avesse legami con il governo federale degli Stati Uniti era un colpo piuttosto duro sia per l’opinione pubblica che per la comunità intellettuale, anche per coloro che ne avevano preso parte inconsciamente.
La Guerra fredda culturale non si esaurì con le operazioni avviate dal governo federale attraverso il sostegno della CIA alle reti di intellettuali pubblici. Nelle attività di diplomazia culturale statunitense rientravano anche quelle messe in campo dalle fondazioni filantropiche, perlopiù attraverso l’elargizione di fondi a gruppi nati in paesi esteri. Per quanto riguarda il caso italiano, a spendersi maggiormente furono le fondazioni Ford e Rockefeller, dalle quali arrivarono finanziamenti per mettere in piedi vari progetti di promozione culturale. Fu il caso, per citare due esempi, del Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (Co.Spo.S.), una rete di accademici esperti in economia, scienza politica e sociologia e della creazione del centro SAIS di Bologna, una sede distaccata della John Hopkins University <96.
Il primo nacque grazie allo sforzo della Fondazione Ford e della Fondazione Olivetti: l’industriale Adriano Olivetti era affascinato dalla capacità dei settori produttivi, del governo e delle università statunitensi di lavorare in sinergia. Attraverso la fondazione culturale che porta ancora oggi il suo nome, con sedi a Torino e a Roma, Olivetti e i suoi collaboratori misero in piedi attività e raccolsero fondi finalizzati a promuovere un tipo di conoscenza pratica che ritenevano necessaria al buon governo e alla produttività dell’Italia <97.
Sia nel caso del Co.Spo.S che in quello del centro SAIS, l’obiettivo principale dei promotori era quello di diffondere lo studio delle scienze sociali in Europa: il governo federale e le fondazioni filantropiche, assieme con i gruppi locali, ritenevano necessario promuovere la nascita di dipartimenti universitari dove si potesse formare la classe dirigente europea del futuro, dai burocrati, agli amministratori ai consulenti del mondo politico <98. Si trattava, del resto, di un terreno lasciato libero dalla pervasiva cultura comunista. Come ha notato Perry Anderson, infatti, la strategia della dirigenza comunista italiana «riproduceva il pregiudizio delle élite tradizionali, per le quali i campi di scelta sono sempre stati la filosofia, la storia e la letteratura. Dalla cultura del partito mancavano le discipline più moderne come l’economia e la sociologia e i metodi che hanno tentato di importare, bene o male, dalle scienze naturali» <99.
Sempre a Bologna, inoltre, il gruppo de “Il Mulino” guidato da Fabio Luca Cavazza era impegnato alla diffusione di un modello di sinistra riformista sullo stile di quanto avveniva negli altri paesi europei attraverso l’organizzazione di convegni ed incontri e, successivamente, grazie all’attività editoriale messa in piedi dai suoi membri <100.
Nel resto d’Europa esistevano, poi, varie altre reti di intellettuali e giornalisti, che spesso collaboravano con settori della società come imprese, sindacati, associazioni cristiane per diffondere idee riformiste lontane dalla cultura della sinistra comunista <101. Anche alcune riviste finirono per essere luoghi di incontro e dibattito a distanza tra esponenti del panorama liberale delle due sponde dell’oceano: è il caso, ad esempio, del giornale “The Reporter”, fondato dall’intellettuale anti-fascista emigrato negli Stati Uniti, Max Ascoli, nel quale si affrontavano temi di attualità e politica dalla prospettiva della sinistra anticomunista <102.
[NOTE]
84 Scott-Smith, The Politics of Apolitical Culture, cit., pp. 95-96.
85 Ivi, pp. 110-112.
86 Brogi, Confronting America, cit. p. 140.
87 Mario Del Pero, Gli Stati Uniti e la “guerra psicologica” in Italia (1948-56), in “Studi Storici”, Vol. 39, No. 4, 1999, pp. 953-988 e Alessandro Brogi, Ambassador Clare Boothe Luce and the evolution of psychological warfare in Italy, in “Cold War History”, Vol. 12, No.2, 2012, pp. 269-294.
88 Sul processo di adesione dell’Italia al Patto atlantico cfr. Formigoni, Storia d’Italia nella Guerra Fredda, cit., pp. 145-167.
89 Judt, Postwar, cit., pp. 206-206.
90 Sul rapporto tra intellettuali e PCI cfr. Nello Ajello, Intellettuali e PCI, (1944-1958), Bari-Roma, Laterza, 1979.
91 Cristina Baldassini, Libertà, democrazia, dittatura in “Tempo presente” (1956-1968), in “Il Pensiero Politico”, Vol. 50, Fasc. 2, 2017, pp. 233-244.
92 Raymond Aron, L’opium des intellectules, Parigi, Calmann-Levy, 2004 (I ed. 1955).
93 Scott-Smith, The Politics of Apolitical Culture, cit., p. 96.
94 Saunders, The Cultural Cold War, cit., pp. 381-390.
95 Baldassini, Libertà, democrazia, dittatura in “Tempo Presente”, cit., p. 236.
96 Giuliana Gemelli and Thomas Raw, The Unexpected Effects of Institutional Fluidity: The Ford Foundation and the Shaping of the John Hopkins University Bologna Center in Giuliana Gemelli and Roy MacLeod (edited by), American Foundations in Europe. Grant-Giving Policies, Cultural Diplomacy and Trans-Atlantic Relations, 1920-1980, Brussels, Peter Lang, 2003, pp. 181-210; Luigi Graziano, The Development and Institutionalization of Political Science in Italy, in David Easton, Luigi Graziano and John Gunnell (edited by), The Development of Political Science: A Comparative Survey, New York, Routledge, 2002, pp. 127-146.
97 Matteo Pretelli, La Olivetti, la sponsorizzazione culturale, gli Stati Uniti, in “Mondo contemporaneo”, No. 2, 2014, pp. 33-58.
98 Giuliana Gemelli, The Ford Foundation and Europe (1950’s – 1970’s). Cross-fertilization of Learning in Social Science and Management, Brussels, EIP, 1998.
99 Perry Anderson, An Invertebrate Left, in “London Review of Books”, Vol. 31 No. 5, 12 March 2009, p. 12.
100 Luigi Pedrazzi, Gli inizi de Il Mulino, Bologna, Assindustria, 2001.
101 Stéphanie Roulin and Giles Scott-Smith (edited by), Transnational Anti-Communism and the Cold War: Agents, Activities, and Networks, New York, Palgrave MacMillan, 2014 e Giles Scott-Smith, Western Anti-Communism and the Interdoc Network: Cold War Internationale, New York, Palgrave MacMillan, 2012.
102 Secondo Elke Van Cassel, che ha avuto accesso alle carte della rivista, “The Reporter” fu fondato dalla CIA. Cfr. Elke Van Cassel, “The Reporter” (1949-1968): il lascito americano di Max Ascoli, in Renato Camurri, (a cura di), Max Ascoli. Antifascista, intellettuale, giornalista, Milano, FrancoAngeli, 2012.
Alice Ciulla, Gli intellettuali statunitensi e la “questione comunista” in Italia, 1964-1980, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2019