Facciamo il “punto” sulla punteggiatura!

All’inizio, si direbbe, fu una questione di fiato e di vista: per non perdere il ritmo nella musica e nel canto, per non perdere il senso nei lunghi periodi senza pause. Punti, nelle antiche iscrizioni, bastavano da soli a separare i singoli termini di antiche iscrizioni. Ma i semplici punti cominciarono poi a differenziarsi per grandezza e posizione. Fu così che comparvero, accanto al punto in basso, ovvero il nostro punto fermo, la virgola (così chiamata perché simile a una piccola “verga”), la linea verticale (alla base delle attuali parentesi e slash), evoluzione dei tre punti originari, collocati uno sopra l’altro. Secolo dopo secolo fanno capolino nel sistema di scrittura i due punti esclamativo (o “incredibile” o “affettuoso” o “pathetico”) ed interrogativo. Merito dei monaci copisti, che esprimevano gioia e meraviglia, dubbi e difficoltà con un “Io” (non già una firma “generica” ma l’interiezione latina, valevole come “Evviva!”) e una “Quaestio”. La “o” del primo divenne poi un puntino e finì sotto la “i”; e così con “Quaestio”, abbreviato in “Qo”, dove la “Q”, aperta su di un tratto, si trasformò in un “ricciolo” in alto. Analogamente il segno di spunta dei paragrafi, noto (ma non a tutti) come “piede di mosca”, risultato della sovrapposizione di due lettere, la “c” e la “p”, poi orientata diversamente, ad indicare appunto i capoversi (ma non mancò chi volle ad esso sostituire, come anche al punto e virgola, una più decorativa palmetta o foglia d’edera o un grazioso fiorellino stilizzato). Segni ed immagini, estetica ed espressività sono tuttora i due poli su cui si orientano recenti innovazioni. Se uno spirito romantico come Hervé Bazin racchiudeva i suoi dubbi d’amore in un doppio interrogativo a forma di cuore, grafisti olandesi, per esprimere un sentimento vivo, “elettrizzavano” il punto esclamativo. Sempre quest’ultimo, accavallandosi sull’interrogativo e condividendone il puntino, diventerebbe un “interrobang” o “esclarrativo”; fondendosi con una lunga “i”, potrebbe prendere un secondo “puntino”, se chi scrive ha un alto concetto di sé (non a caso il nome è “El rey”, ovvero “il re”). Metafore a parte, il cammino della punteggiatura, e sembrerebbe un controsenso, non conosce certamente pause e punti fermi. Potremo mettervi al più dei puntini sospensivi o un dubbioso interrogativo. O piuttosto un punto e virgola, che, nel linguaggio dei tatuaggi, è simbolo di ripresa e speranza. E se qualcosa non va ” a puntino”, mettiamola in parentesi!
Lucia Mattera in “EXTRAVAGANDO” curiosità su ambienti, natura, tradizioni di Cascina Macondo, 30 dicembre 2020