Epicentro della Resistenza da parte degli intellettuali francesi fu il Comité national des écrivains

La terza linea di tendenza, relativa alla Resistenza aperta al nemico fascista, riguardava gli intellettuali decisi a scendere in campo: abbandonando la congetturata e relativa sicurezza dell’otium letterario, oltre che qualunque ipotesi di collaborazionismo, essi si diedero a mettere a profitto i talenti letterari e artistici che erano loro propri con intenti dichiaratamente politici. In questa sede, più che il ruolo assunto dagli intellettuali italiani nella Resistenza partigiana – alla quale essi approdarono perlopiù solo tra il 1942 e il 1943 e soltanto «dopo un lungo girovagare attraverso le illusioni e le prospettive del regime» <384 – preme mettere in evidenza il caso francese, poiché in esso si riconosce un’essenziale continuità personale e soprattutto ideale con l’impostazione che i membri francesi avrebbero cercato a più riprese di imporre alla SEC negli anni Cinquanta. <385
Epicentro della Resistenza da parte degli intellettuali francesi fu il Comité national des écrivains (CNE), strumento letterario di lotta, che ebbe i suoi rappresentanti più insigni in Jacques Decour (1910-1942), Jean Paulhan, Jacques Debû-Bridel (1902-1993), Jean Guéhenno (1890-1978), Jean Blanzat (1906-1977), Charles Vildrac e nel padre domenicano Jean-Augustin Maydieu al Nord, in Louis Aragon, Elsa Triolet, Claude Aveline (1901-1992), Albert Camus (1913-1960), Jean Cassou, Pierre Emmanuel (1916-1984), Louis Martin-Chauffier (1894-1980), Claude Roy (1915-1997), Pierre Seghers (1906-1987) e altri nella zona Sud. <386 Tra questi principali rappresentanti del CNE, Maydieu, Aveline, Cassou, Emmanuel, Martin-Chauffier e Roy avrebbero accettato di entrare a far parte della Société européenne de culture (alcuni svolgendovi un’attività continuativa e di primo piano come Maydieu).
Il CNE si diede principalmente tre ordini di funzioni: la promozione di opere letterarie a sostegno della Resistenza ai tedeschi, lo scambio di informazioni e la denuncia degli scrittori collaborazionisti. Esso divenne ben presto un’istanza fondamentale nel contesto bellico e punto di non ritorno per l’organizzazione degli intellettuali europei. Si trattava, infatti, di un «[g]roupement littéraire à vocation politique» da considerare pienamente erede delle forme di mobilitazione collettiva degli intellettuali sviluppatesi a partire dall’affaire Dreyfus e giunte a maturità nel corso della lotta antifascista degli anni Trenta. <387
In un quadro nel quale lo sforzo individuale dell’uomo di cultura si univa in senso profondamente democratico allo spirito di decine di altri combattenti, di tutte le condizioni e classi sociali, il senso di comunità che ne scaturiva possedeva una grande forza emblematica. Nella nuova gerarchia sociale che emergeva dalla Resistenza, l’intellettuale, fino a quel momento spesso proveniente dalla media o alta borghesia e dotato di un capitale di studi e conoscenze che lo aveva integrato all’élite della nazione, poteva assicurarsi di mantenere una posizione centrale e insostituibile, al di là di quanto sarebbe potuto accadere all’organizzazione della società nel corso di una guerra che sconvolgeva le fondamenta stesse della convivenza civile. <388
Il CNE doveva la sua origine all’incontro «entre des écrivains dépossédés de leurs moyens d’expression et les structures organisationnelles et mobilisatrices du parti communiste clandestin».389 Tale convergenza faceva certamente notizia nei primi anni Quaranta: il PCF, infatti, in seguito alla guerra civile spagnola e al patto di non aggressione tra Unione Sovietica e Germania, si era trovato in cattive acque, costretto a rinunciare a fare politica nella legalità e diviso dalle altre forze di sinistra. La conferenza di Monaco del settembre del 1938 aveva in effetti provocato una profonda spaccatura tra i propugnatori di un pacifismo integrale, disposti a non porre limiti alle concessioni da accordare a Hitler pur di evitare la guerra, e gli antifascisti convinti della necessità di frenare a ogni costo le pretese naziste. <390 Per queste ragioni, il ricostituirsi dell’alleanza a sinistra era da considerarsi in toto frutto delle particolari condizioni dell’Occupazione, e non per caso tale politica unitaria non sarebbe sopravvissuta alla conclusione della guerra. <391
Per chiarire il grande successo della mobilitazione degli scrittori nel CNE non è sufficiente rifarsi alle pratiche associative degli anni Trenta, sebbene esse si rivelassero punto di riferimento imprescindibile, dato che oltre la metà degli intellettuali del CNE era già stata attiva nelle organizzazioni antifasciste. Neppure la politicizzazione di nuovi elementi (ad esempio cattolici, anche di destra, o personalità come Jean-Paul Sartre, come si vedrà fino a quel momento distante da qualunque coinvolgimento politico) poteva chiarire in maniera convincente tale espansione, in quanto quella dello scrittore rappresentava plausibilmente «la “profession” la plus individualiste, la moins organisée, la moins réglementée». <392 Solamente il riferimento alla volontà di sfuggire all’irreggimentazione che anche il regime di Vichy aspirava a imporre agli intellettuali, sulla scorta dei progetti sviluppati negli anni precedenti anche dal fascismo italiano e dal nazismo, nonché alla minacciata (e attuata) soppressione della libertà d’espressione era in grado di spiegare l’affermazione del CNE. <393
La difesa dell’autonomia del campo letterario da ogni ascendente esterno rappresentava, in effetti, la prima forza motrice in grado di sollecitare gli scrittori all’arruolamento. Lo stesso carattere corporativo (e, di conseguenza, difensivo) del CNE era precisamente una delle chiavi del suo successo, dal momento che «[c]’est parce qu’on a offert aux écrivains les moyens de lutter avec leurs armes propres que, réactivant la dimension subversive de la littérature, ils ont assuré à la Résistance intellectuelle son prestige». <394
Il CNE costituiva pertanto, in qualità di istanza collegiale, l’espressione di un «principe de protestation collective»: <395 fu probabilmente in riferimento a esso che molti membri francesi della Société européenne de culture, diversi dei quali, come si è visto, attivi nel CNE durante la guerra, avrebbero tentato di influenzare e condurre l’azione dell’associazione veneziana. L’epoca della guerra fredda, tuttavia, si presentava come un tempo profondamente differente rispetto al periodo del conflitto antitedesco e le stesse strutture del CNE, che finì per essere debitore per la sua organizzazione al partito comunista francese, non erano equiparabili a quelle della SEC. Dalla mancata comprensione di questa fondamentale differenza sarebbe nata all’interno della Société européenne de culture negli anni Cinquanta una lunga serie di polemiche e malintesi.
Gli intellettuali che si rifacevano all’esperienza acquisita nel CNE erano, almeno nel frangente della guerra, scrittori dominati nel campo letterario <396 e uomini della sinistra laica già partecipi alle lotte antifasciste degli anni Trenta, <397 così come sarebbero stati prevalentemente dominati e appartenenti alla sinistra laica molti dei membri più attivi della SEC. Nonostante le differenze di vedute tra i diversi gruppi nazionali o con il Segretario generale Umberto Campagnolo, questa affinità avrebbe comportato una similare aspirazione all’autonomia del mondo della cultura dalle strettoie politiche imposte dalla guerra fredda.
Il progetto (mai realizzato) di un codice di comportamento per tutti gli scrittori, che il CNE sembrava intenzionato a stilare, si fondava sull’affermazione dell’autorità del giudizio dei pari su questioni di natura etica. Nel desiderio di fare approvare da De Gaulle, quale dirigente capo della Resistenza, un simile regolamento, vi era per prima cosa proprio la sentita necessità di garantire «l’autonomie du champ littéraire en imposant une instance propre face aux autres instances de la Résistance». <398 La stessa esigenza di salvaguardare l’autonomia del mondo intellettuale sarebbe stata fatta propria dalla SEC, ma le nuove minacce all’indipendenza dell’uomo di cultura, diverse da quelle esperite dagli aderenti al CNE in tempo di guerra dichiarata, avrebbero portato a ricercare strumenti possibilmente più efficaci.
[NOTE]
384 ASOR ROSA, La cultura, cit., p. 1584.
385 Per ovvi motivi non sussiste il confronto con la situazione tedesca su questo specifico punto. L’emigrazione intellettuale, intervenuta a partire dal 1933, per i suoi caratteri di Resistenza armata contro il nazismo (ancora una volta in senso sia metaforico sia letterale, come si è ricordato, nel corso della guerra di Spagna) potrebbe essere considerata valido termine di paragone, ma si tratta di un tema tangente rispetto alla presente ricerca. Per questi aspetti cfr. comunque ENZO COLLOTTI, L’emigrazione come resistenza, in NATOLI (a cura di), La Resistenza tedesca, cit., pp. 104-126.
386 LEYMARIE, Les intellectuels et la politique en France, cit., pp. 63-64.
387 SAPIRO, La guerre des écrivains, cit., p. 467.
388 WILKINSON, The Intellectual Resistance in Europe, cit., pp. 49-50.
389 SAPIRO, La guerre des écrivains, cit., p. 467.
390 Cfr. WINOCK, Le siècle des intellectuels, cit. pp. 315-323.
391 SAPIRO, La guerre des écrivains, cit., pp. 468-469.
392 Ivi, p. 469.
393 Ibid.
394 Ivi, p. 467.
395 Ivi, p. 535.
396 Gisèle Sapiro ha calcolato che «la moitié des membres du Comité seulement accèdent à la reconnaissance littéraire de leur temps et entreront dans la postérité» (ivi, p. 544).
397 Ivi, p. 546.
Fabio Guidali, Uomini di cultura e associazioni intellettuali nel dopoguerra tra Francia, Italia e Germania occidentale (1945-1956), Tesi di dottorato, Libera Università di Berlino, Università degli Studi di Milano, 2013