Don Giacomo raccoglie alcuni cadaveri di partigiani

Il 12 settembre arriva l’ordine di scioglimento della IV Armata, a cui apparteneva il Reggimento di cavalleria Piemonte. Don Giacomo Vender viene inviato a Roma a consegnare la cassa del Reggimento. Il 16 settembre rientra a Brescia ed è posto in licenza illimitata. Torna alla sua parrocchia di S. Faustino e lì, con il parroco don Luigi Daffini e con l’avv. Andrea Trebeschi, inizia un intenso impegno nell’assistenza agli ex militari sbandati dopo l’armistizio e per proteggere gli oppositori al fascismo e gli ebrei che cercavano di sfuggire alle persecuzioni.
Nel mese di settembre si formano i primi gruppi partigiani, ed uno di questi fa riferimento ad un suo giovane parrocchiano, lo studente universitario Giuseppe Pelosi, detto Peppino. Don Giacomo viene incaricato da padre Manziana e dal suo parroco di prestare assistenza religiosa a questi primi gruppi di partigiani. Di fatto, alla semplice assistenza religiosa si affianca spesso un aiuto logistico, soprattutto rifornimenti alimentari e di vestiario per i rifugiati in montagna. Don Vender è però preoccupato perché tra i partigiani si sono infiltrate persone poco affidabili, ladri ed avventurieri. In ottobre è incaricato dal CLN di recarsi in località Croce di Marone per informare i gruppi che operavano in quella zona dell’impossibilità di garantire regolarità nei rifornimenti e prospettando loro la necessità di ridimensionare il numero dei combattenti in vista dell’inverno.
All’alba del 9 novembre i tedeschi, con un massiccio rastrellamento, coperti dal fuoco dei mortai e dei cannoni anticarro, appoggiati dall’aviazione (due idrovolanti partiti da Pilzone) attaccano la zona della Croce di Marone per annientare i gruppi partigiani, che il 7 ottobre, con un colpo di mano si erano impossessati di circa 300 mitra alla fabbrica Beretta di Gardone. Una parte dei partigiani riesce a fuggire nei boschi vicini, ma molti vengono catturati o uccisi. Don Giuseppe Pintossi, che nelle settimane precedenti aveva prestato assistenza religiosa ai partigiani, si salva per un pelo, riuscendo a fuggire dalla cascina ove era nascosto, che era stata incendiata, costretto ad abbandonare i suoi effetti personali, tra cui vi era una foto di una messa celebrata coi ribelli, che viene rinvenuta dai tedeschi. <8 Alle quattro del mattino del giorno successivo, don Vender è informato dell’accaduto e, dopo poche ore, parte in
bicicletta per raggiungere la Croce di Marone, evitando rischiosamente due posti di blocco delle SS a Iseo e all’inizio della valletta di Croce. Consegna ad un capo partigiano una somma di denaro da parte del CLN e poi raccoglie alcuni cadaveri di partigiani, che trasporta nella cappella di S. Antonio. Il giorno successivo, dopo aver dormito la notte in una baita, li segnala al parroco di Zone e ai carabinieri, affinché possano essere recuperate e seppellite le salme.
Il 17 novembre partecipa ad un’azione molto pericolosa, consistente nel sottrarre una radio trasmittente dalla scuola Moretto, che allora si trovava nell’attuale via Santa Chiara. L’azione è accuratamente progettata da Astolfo Lunardi in ogni particolare. Per verificare la fattibilità, Michele Capra e Roberto Salvi si improvvisano direttore e ingegnere di un Istituto professionale di Bologna in visita alla scuola bresciana. “Li introduce un impiegato della scuola che sa tutto, ma che non può compromettersi. L’ignaro direttore della Moretto li accoglie con tutta la deferenza del caso e li accompagna in ogni angolo.” <9 Memorizzata a dovere la planimetria, i due compiono l’impresa, aiutati da don Vender che finge di recarsi da un ammalato grave e in realtà va in avanscoperta. Con un fischietto da richiamo per gli uccelli segnala via libera; Capra e Salvi possono saltare con facilità i muri di cinta, aprire con una chiave falsa la porta, tagliare i vetri di una veranda con il diamante, prelevare la radio, metterla in un sacco e ritornare sui loro passi. Quando don Vender suona di nuovo il richiamo del via libera, scavalcano di nuovo i muri e con prudenza e a piccole tappe raggiungono via Battaglie, dove consegnano la radio in casa Trebeschi.
Nei suoi appunti, l’episodio è sintetizzato in modo molto scarno: “ho partecipato ad un’azione notturna per venire in possesso di una radio trasmittente della Marina. Azione riuscita bene.” <10
Solo tre giorni dopo si reca sul monte Pora, tra la Presolana, Angolo e Costa Volpino, dove prende contatti col gruppo partigiano guidato dal tenente Eraldo Locardi e coi garibaldini stanziati nella vicina val Supine.
Il 12 dicembre accompagna Peppino Pelosi, Franco e Roberto Salvi e altri due partigiani alla canonica della parrocchia di S. Giorgio a Ceratello di Costa Volpino, dove i ribelli trovano rifugio dal parroco don Domenico Mondini, amico fidato di don Giacomo. Ma solo due giorni dopo un milite fascista in borghese irrompe nella canonica e li obbliga armi alla mano a seguirli al comando della GNR a Lovere. <11 Pelosi e i fratelli Salvi dichiarano di essere studenti universitari che si erano recati in quella località per poter studiare con più tranquillità e non oppongono resistenza. Perquisendo il Pelosi, però, i fascisti trovano un appunto in cui era contenuto l’elenco delle persone disposte a collaborare alla costituenda radio partigiana clandestina di Brescia. Nell’appunto son segnati i nomi di padre Manziana e dell’avv. Andrea Trebeschi. Per fortuna don Vender è segnato solo col nome proprio e don Luigi Daffini, il parroco di S. Faustino, con «prevosto». Da Lovere i fermati sono tradotti prima al carcere di Bergamo e poi a quello di Brescia. Poi, il 27 dicembre 1943 Pelosi e i fratelli Salvi sono trasferiti a Verona, al carcere del forte S. Mattia.
Il 4 gennaio padre Manziana è arrestato dalle SS alla Pace. Fallisce invece il tentativo di arresto di don Daffini, che riesce a nascondersi quando le SS irrompono nella canonica di S. Faustino, e poi a fuggire da Brescia per andare a rifugiarsi nel convento di S. Giovanni a Parma.
Nel pomeriggio dell’Epifania don Giacomo è avvertito che anche don Tedeschi è ricercato e che i fascisti stanno preparando una trappola nei suoi confronti. Raggiunge immediatamente la curia e lì vicino vede un’automobile con delle SS e col maresciallo Leo Steinwender. Con grande prontezza di spirito si avvicina lui stesso alla macchina e, fingendo di collaborare, chiede loro se stanno cercando don Tedeschi e si offre di accompagnarli dove sia possibile trovarlo. In realtà compie un’opera di abile depistaggio, facendo loro perdere molto tempo e facilitando così la fuga di don Tedeschi. Verso le ore 18, il Maresciallo Steinwender ordina di arrestarlo, cominciando a sospettare di lui, e lo fa condurre alla caserma detta dell’Arsenale (la caserma Serafino Gnutti di via Crispi, sede del Comando tedesco). Lì sono appena stati incarcerati padre Manziana, don Domenico Mondini e don Remo Tonoli, parroco di Coccaglio, tutti accusati di aver ospitato o di aver favorito la latitanza dei fratelli Salvi. Verso sera sono rinchiusi nello stesso locale anche il prof. Mario Bendiscioli <12 e Pietro Feroldi. Il 10 gennaio i prigionieri sono trasferiti al carcere di Canton Mombello e poi, dopo cinque giorni, sono tutti tradotti a Verona, al carcere di forte S. Mattia e lì don Giacomo incontra tra gli altri prigionieri Gastone Franchetti, uno dei fondatori delle Fiamme Verdi bresciane. <13 La vita in carcere è molto dura: i prigionieri non hanno l’acqua corrente, non possono lavarsi, non c’è riscaldamento, la luce è molto scarsa e rende difficile poter leggere. Don Giacomo è preso a calci da una guardia perché si attarda a salutare la madre, che era venuta a visitarlo. <14 Mentre altri prigionieri vanno incontro ad un tragico destino, come si è visto (Pelosi fucilato il 1 marzo, p. Manziana e Andrea Trebeschi deportati in Germania), don Giacomo è rilasciato il 1 febbraio 1944. Nell’ultimo interrogatorio in carcere ammette di essersi recato alla Croce di Marone, ma afferma di averlo fatto per raccomandare loro di non commettere furti e di tornare alle loro case. Forse è creduto perché come cappellano militare era un ufficiale in congedo, o forse è semplicemente la presa d’atto della mancanza di qualsiasi prova della collaborazione coi partigiani; in ogni caso è scarcerato.
Appena rientrato a Brescia, tramite Cesare Trebeschi, figlio di Andrea, don Giacomo interpella mons. Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo, affinché prenda contatto col generale Karl Wolff, <15 comandante supremo delle SS in Italia. Attraverso Carolina Finazzi, attivista bergamasca della FUCI, e Sandro Strohmenger, riesce a far pervenire al generale Wolff un’accorata lettera, datata 28 febbraio 1944, con cui cerca di intercedere per padre Manziana, Andrea Trebeschi e Peppino Pelosi, ma purtroppo senza esito. <16 II 1 marzo torna a Verona per accompagnare la madre di Pelosi per l’ultimo saluto al figlio. Sono con loro l’avv. Manziana e i familiari di Andrea Trebeschi, tra cui il figlio Cesare. Nel viaggio di ritorno, sul treno, alle 17 in punto, l’orario stabilito per la fucilazione di Pelosi, invita i compagni di viaggio ad alzarsi e a spostarsi nel corridoio per pregare e meditare. <17
A partire dal mese di marzo, si adopera con grande impegno a costituire e far funzionare una complessa rete di assistenza ai prigionieri politici rinchiusi nel carcere cittadino di Canton Mombello. I detenuti affamati e spesso indeboliti dalle torture, vengono riforniti periodicamente di cibo con la collaborazione di numerose ragazze dell’Azione cattolica, dette Massimille (portatrici di pane), coordinate prima da Maria Trebeschi e poi, per ragioni di prudenza, essendo lei conosciuta da Leo Steinwender, da Camilla Cantoni Marca. Talvolta, abilmente nascosti tra i pacchi per i detenuti o i recipienti vuoti restituiti dal carcere, vi sono messaggi per i detenuti o dei prigionieri verso l’esterno, che consentono un minimo di comunicazione tra i partigiani reclusi e la rete resistenziale esterna al carcere. Quando il servizio di assistenza ai detenuti assume proporzioni considerevoli e i tedeschi ed i fascisti cominciano a nutrire
sospetti, con il contributo determinante di don Angelo Pietrobelli, segretario del vescovo Tredici, l’aiuto viene esteso anche ai detenuti comuni e presentato alla direzione del carcere come opera della Charitas diocesana. All’attività collaborano numerose suore (come le orsoline, le camilliane, le suore del Fatebenefratelli e della Poliambulanza). Il servizio raggiunge la massima espansione nel marzo 1945, quando sono assistiti fino a 130 prigionieri. Al crescente costo economico dell’assistenza ai carcerati, oltre alla curia diocesana, partecipa anche il CLN. <18
[NOTE]
8 Sul rastrellamento di Croce di Marone: P. Gerola, Cronache partigiane in Valtrompia (settembre 1943 – agosto 1944), in «La Resistenza Bresciana», n. 5, aprile 1974, pp. 43-62; F. Alenici, L. Del Bono, Donne e uomini nella resistenza del Sebino. Luoghi ed eventi di vita quotidiana. Tip. Artigianelli, Brescia 2010, pp. 27-37. A. Gamba (ed.), Croce di Marone. La prima battaglia della Resistenza nella provincia di Brescia. 9 novembre 1943, Comunità montana Sebino e Comunità montana di Valle Trompia, Brescia 1983.
9 A. Fappani, F. Gheza (ed.), Michele Capra. Un partigiano intransigente, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2012, p.38. Sull’episodio si veda anche La radio trasmittente, in AA. W., Giacomo Vender, CeDoc, Brescia 1989, pp.75-77, tratto da U. De Lauso, P. Bettinzoli, Martiri della libertà, Morcelliana, Brescia 1945; A Fappani, La Resistenza bresciana, cit., voi. II, p -5L
10 C. Trebeschi, Magnificat per un popolo libero, testimonianza nel teatro della parrocchia di S. Spirito in Brescia del 12 luglio 1974 in AA. W., Giacomo Vender, cit., p. 27.
11 L’operazione è stata resa possibile dal tradimento di un certo Ottorino Renofio, che aveva fatto parte del gruppo di Croce di Marone e che aveva informato i tedeschi. Il Renofio, circa un mese dopo, sarà ucciso da una scarica di mitra dalle guardie fasciste mentre tentava la fuga nei pressi di Marone.
12 Mario Bendiscioli (1903-1998) docente di storia del cristianesimo all’università statale di Milano, collaboratore della Morcelliana, rilasciato a marzo, sarà nuovamente arrestato a Milano il 24 ottobre 1944 e scarcerato infine il 16 gennaio 1945.
13 M. Pescini, Don Giacomo Vender, prete della Resistenza, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2005, p. 72. Gastone Franchetti (1920-1944) alpino, prima dell’armistizio combatte sul fronte greco albanese. Denunciato da Giuliano Sturm alle SS, è fucilato a Bolzano il 29 agosto 1944, dopo il fallimento di un tentativo di salvarlo da parte di mons. Carlo De Ferrari, arcivescovo di Trento.
14 M. Pescini, Don Giacomo Vender…, cit., p. 73.
15 Karl Wolff (1900-1984) nazista e membro delle SS fin dal 1931, è noto per aver negoziato con gli alleati e ad insaputa di Hitler la resa delle truppe tedesche in Italia, nel marzo-aprile 1945.
16 D. Morelli, La resistenza in carcere…, cit., pp. 46-48.
17 M. Pescini, Don Giacomo Vender…, cit., p. 75.
18 Sull’assistenza delle Massimille ai carcerati: testimonianza di Maria Teresa Molinari Materzanini, in AA. W., Antifascismo, Resistenza…, cit., pp. 103-106; D. Morelli, La resistenza in carcere…, cit., pp. 50-70.
Maurilio Lovatti, Testimoni di libertà. Chiesa bresciana e Repubblica Sociale Italiana (1943-1945), Edizioni Opera Diocesana San Francesco di Sales, Brescia, 2015