Difficile perseguire uno scopo comunemente riconosciuto, condiviso e perseguito dalla totalità dell’universo femminile nell’ottica di un riscatto unilateralmente inteso

2.3 Gli approcci strutturalisti e decostruttivisti
Le analisi strutturaliste (definite anche radicaliste) e decostruttiviste iniziano a trovare spazio intorno alla metà degli anni ottanta dello scorso secolo. L’uso di termini quali “strutturalista” e “decostruttivista” corrisponde alle modalità utilizzate all’interno di un numero più ampio di teorie.
A differenza di quanto avviene negli approcci teorici che sono stati trattati in precedenza, il focus dell’analisi si concentra per l’approccio strutturalista sulle relazioni di potere che intercorrono nella sfera pubblica e per quello decostruttivista sul tentativo di decostruire pratiche consolidate: l’elemento comune ad entrambe le prospettive è quello di misurarsi sulla dimensione del potere studiato in termini di relazioni che intercorrono tra uomini e donne sia nella sfera pubblica che in quella privata. Nel caso delle teorie liberali, come si è visto nei paragrafi precedenti, si vuole intervenire all’interno del sistema per correggerne alcune imperfezioni e distorsioni che impediscono l’uguaglianza tra uomini e donne; nel caso degli approcci strutturalisti e decostruttivisti queste stesse imperfezioni e distorsioni sono parte integrante di una struttura che sistematicamente svalorizza il lavoro delle donne a favore di un sistema di potere e di privilegi di cui gli uomini usufruiscono. Non viene quindi chiesto di apportare una serie di aggiustamenti al sistema sociale ma un radicale cambiamento di quest’ultimo. Non è sufficiente un maggior controllo sulla meritocrazia nel sistema di istruzione, una maggiore attenzione alla parità dei redditi da lavoro per uomini e donne e una rappresentanza politica che rispecchi la composizione di genere nella popolazione. Tutto ciò perché, ad opinione delle studiose di questa corrente, non servono ad affrancare le donne dal proprio status: gli uomini non cederanno mai il potere di cui dispongono se non attraverso alcune concessioni in grado di mantenere la pace sociale.
La svalutazione culturale, sociale ed economica del lavoro femminile è infatti essa stessa funzionale al sistema (Lorde 1984). La conquista del potere è vista, in particolare dall’approccio strutturalista, come uno scontro tra gruppi per la sua conquista: se quindi cresce il potere delle donne è perché gli uomini hanno perso l’accesso ad una serie di privilegi consolidati nel tempo. Posizioni di maggiore benessere per le donne sono raggiungibili solo se queste si interrogheranno su come beni sociali di tipo materiale, istituzionale e relazionale sono consolidati e se verranno rimessi in discussione quei valori, considerati universali, imposti dai maschi bianchi della middle-class. La soluzione proposta invece dai teorici decostruttivisti è quella di intervenire sulla forma del discorso sociale per smantellarla in modo da “geopardizzare” le posizioni di potere maschili: è fondamentale fare in modo che le modalità del discorso – inteso come linguaggio, rappresentazioni dell’immaginario, pratiche culturali – vengano date per non scontate e rimesse in discussione.
Sulla base di quanto detto finora può risultare comprensibile come il sistema di istruzione, a differenza di quanto avviene per le teorie liberali, non risulti il canale di cambiamento più importante ma è, in ogni caso, uno dei luoghi in cui è possibile mettere in atto il processo di critica del sistema per eventuali trasformazioni.
La scuola è vista come il luogo della riproduzione delle disuguaglianze: è qui che si riproducono i meccanismi della stratificazione di genere e le conseguenze della divisione sociale del lavoro nella famiglia così come sui luoghi delle occupazioni professionali (Calabrese Burton 1992; Sacks 1974).
2.3.1 L’analisi strutturalista
Come si è accennato poco fa, l’analisi strutturalista studia la concentrazione e il consolidamento del potere nelle mani di poche minoranze privilegiate. Il potere è qualcosa che si esercita da parte di un gruppo su un altro: è considerato una proprietà od un possesso legittimato da una serie di leggi, convenzioni, relazioni istituzionali e pratiche egemoniche. Il gruppo di teoriche che si colloca in questa corrente, è identificabile in Karen Sacks, Zillah Eisenstein, Lise Vogel, Pat Mahony, Mary O’Brien. L’approccio strutturalista femminista, conosciuto anche sotto il nome di “socialista femminista”, aspira ad un cambiamento risolutivo della struttura sociale, attraverso il quale eliminare la dominanza maschile e il sistema patriarcale vigente (O’Brien 1983).
Lo sviluppo di questa prospettiva è stato fortemente influenzato delle correnti neo-marxiste nella sociologia dove il concetto più frequentemente utilizzato risulta essere quello di riproduzione (Acker 1987).
Se nella teorie liberali il singolo individuo ha, nel suo piccolo, il potere di modificare od intervenire per apportare miglioramenti al sistema, il singolo da solo può fare ben poco per cambiare l’ordine sociale in cui è inserito proprio perché non si tratta di semplici “aggiustamenti” ma di un intero sistema che sarebbe da riformare. Ciò non significa che gli individui non abbiano nessuna possibilità di intervenire sul sistema sociale e sul potere che lo governa: è possibile unirsi e resistere per contrastare i gruppi egemoni. In particolare, nel caso delle donne, la capacità individuale di sapere imitare alcune pratiche maschili o di saper conquistare dei piccoli spazi propri, condurrebbe ad ottenere privilegi e status che tuttavia costituirebbero eccezioni nel panorama generale della condizione femminile. Paradossalmente questo tipo di azione, secondo l’approccio strutturalista, porterebbe ad una situazione controproducente per le donne perché finirebbe per generare legittimazione e riprodurre il sistema di potere accettandolo per come è dato. Come mette in luce uno studio condotto da una ricercatrice canadese, Jane Gaskell (1992), su alcune giovani donne tra i 17 e i 18 anni, anche se queste giovani donne non accettano l’ideologia tradizionale dei ruoli domestici, l’essere inserite in un sistema che tende a delegittimarne l’operato, le porta a limitarsi in ciò che possono dire o che possono fare o vedere come possibile per se stesse. È evidente come non siano solo gli uomini quindi a riprodurre la struttura del potere ma come anche le donne contribuiscano a ciò in modo attivo. Consentire l’accesso al potere ad alcune singole donne non contribuisce, a parere di questi studiosi, ad alterare lo stato delle relazioni tra uomini e donne e manifestazioni sentimentalistiche che esaltano le eccezionali e saltuarie conquiste femminili non servono che a dare l’impressione che il sistema sia aperto quando invece, di fatto, riproduce sé stesso (Mahony 1985). Questo tipo di discorso risulta essere molto diverso da quello delle teorie liberali per le quali ogni conquista di una singola donna è una conquista per l’intero mondo femminile (Brenner 1990).
A differenza delle teorie liberali, l’approccio strutturalista non considera l’universo femminile come compatto ed omogeneo al suo interno: non tutte le donne hanno gli stessi interessi, gli stessi obiettivi o le stesse idee sul come raggiungere gli scopi che si prefiggono. Aspetti come la maternità o l’aborto possono essere trattati e percepiti in modi molto diversi da una donna all’altra (Thompson 2003). Inoltre, questa corrente riconosce che la possibilità individualista di avere potere e esercitarlo, anche non consapevolmente, è più forte di qualsiasi ideale od obiettivo comune in un sistema oppressivo dove quindi è difficile perseguire uno scopo comunemente riconosciuto, condiviso e perseguito dalla totalità dell’universo femminile nell’ottica di un riscatto unilateralmente inteso.
Un ulteriore aspetto che i teorici strutturalisti affrontano, che costituisce al tempo stesso una critica al sistema teorico della socializzazione, è relativo alle conseguenze che una maggiore emancipazione femminile apporterebbe all’ambito della cura familiare. Non affrontare questo tema, sostengono le autrici, significa ribadire che la sfera privata è un ambito di secondaria importanza subordinata a quella pubblica: se si vuole affermare la piena autodeterminazione della singola donna e quindi la sua emancipazione dall’intorno privato, è necessario però anche pensare a come risolvere il problema del chi si occuperà di bambini, anziani, invalidi e infermi ovvero vuol dire occuparsi di tutte quelle funzioni che tradizionalmente sono state svolte dalle donne (Anyon 1983; Smith 1996).
Come si è detto nel paragrafo precedente, la scuola non è il luogo privilegiato per il cambiamento anche se costituisce un luogo importante per l’osservazione di alcune dinamiche che spiegano le disuguaglianze di genere: le studiose strutturaliste si sono concentrate prevalentemente sullo studio delle scuole per osservane le modalità di riproduzione delle disuguaglianze di classe dell’intero sistema. La scuola gioca un ruolo ben preciso nella creazione della divisione sessuale e della separazione dei ruoli nel mercato del lavoro (Arnot, Weiner 1987).
Le teorie strutturaliste si preoccupano di mettere in evidenza alcune dinamiche scolastiche date per scontate e di mostrare i modi in cui i generi maschili e femminili contribuiscono al mantenimento di un sistema sociale che non garantisce uguaglianza di trattamento sia nella sfera privata che in quella pubblica: per cambiare il sistema, sostengono le studiose, è prima necessario saper riconoscere gli elementi di oppressione che lo caratterizzano.
Brunella Fiore, I ragazzi sono più bravi in matematica? Interpretare la relazione tra genere e competenze matematiche con il supporto dei dati Pisa 2003, Università degli Studi di Milano Bicocca, Anno Accademico 2006/2007