Contro le bande si agirà con azioni pianificate

Fino alla metà del marzo 1944, nonostante il continuo ripetersi quasi dovunque nelle località montane del Centro-Nord di segnalazioni relative alla costituzione di embrionali gruppi armati (composti per lo più di giovani renitenti o di soldati sbandati), i comandi militari tedeschi delegano in buona parte la questione dell’ordine pubblico alle autorità della Repubblica di Salò, confidando nelle capacità repressive su base locale dell’alleato fascista.
A partire dai primi mesi dell’anno si assiste però ad un aumento esponenziale delle informative inerenti ad atti di sabotaggio e ad attentati compiuti dalle bande partigiane al fine di ostacolare il trasporto di rifornimenti e la circolazione delle truppe nazifasciste lungo le principali vie di comunicazione dell’Italia centro-settentrionale. Il generale rinvigorimento della presenza di gruppi armati ribelli – che si esemplifica simbolicamente nell’eclatante
attentato subito da un reparto di polizia sudtirolese in via Rasella a Roma e nella feroce e arbitraria rappresaglia che ne consegue il 24 marzo 1944 presso le Fosse Ardeatine <5 – determina però a partire dall’aprile successivo un significativo mutamento nella valutazione da parte dei comandi superiori nazisti del pericolo rappresentato in Italia dal fenomeno della guerriglia partigiana <6.
Inaugurando importanti cambiamenti nelle modalità della lotta alle bande armate – a cui da questo momento è attribuito distintamente nella campagna di guerra italiana un differente grado di pericolosità e di conseguenza una diversa qualità strategica – il 7 aprile 1944 vengono infatti diramate per ordine del feldmaresciallo Kesselring nuove disposizioni repressive:
“Contro le bande si agirà con azioni pianificate. Bisogna inoltre garantire la continua sicurezza della truppa contro attentati e attacchi. […] In caso di attacco, aprire immediatamente il fuoco, senza curarsi di eventuali passanti. […] Il primo comandamento è l’azione vigorosa, decisa e rapida. Chiamerò a rendere conto i comandanti deboli e indecisi, perché mettono in pericolo la sicurezza delle truppe loro affidate e il prestigio della Wehrmacht tedesca. Data la situazione attuale, un intervento troppo deciso non sarà mai causa di punizione” <7
All’interno delle nuove disposizioni risulta prioritaria la volontà strategica di “bonificare” le retrovie del fronte con qualsiasi mezzo, senza più alcuna remora morale riguardante la salvaguardia dell’incolumità fisica della popolazione civile italiana. Attraverso questi ordini è, infatti, offerta ai soldati nazisti – per la prima volta durante la campagna d’Italia – una generale impunità giuridica a fronte di qualsiasi atto compiuto per garantire la sicurezza militare, inficiando così di fatto il senso delle norme chiamate a regolare la condotta legittima nel conflitto fra Stati sovrani, definite dalle consuetudini degli usi e costumi di guerra e dai trattati internazionali
all’epoca vigenti <8.
Se sul fronte italiano fino a questo momento – seppur con significative eccezioni al Sud <9 – i principi che disciplinano l’occupazione e la condotta di guerra nazista erano stati improntati almeno in apparenza al rispetto dell’avversario/alleato entro i canoni di uno scontro simmetrico, la situazione cambia adesso completamente. Non solo gli italiani vengono, dopo “l’armistizio dell’8 settembre 1943”, rappresentati quali sospetti traditori e in quanto tali spesso avvicinati dall’alleato germanico con intima repulsione e diffidenza, ma, man mano che le condizioni di guerra precipitano, sono sempre più considerati dai comandi militari e percepiti dalla truppa quale popolazione inferiore, verso cui – come per gli ebrei, gli slavi o i popoli coloniali – è legittima e necessaria la messa in atto di modalità di guerra estreme e sanguinarie, totalmente scollegate da ogni sorta di freno di stampo etico-morale <10.
All’interno della prospettiva militare nazista, il campo di battaglia italiano nel volgere di pochi mesi assume dunque – seppur inserito nello scacchiere occidentale – parte delle caratteristiche di guerra proprie del fronte orientale, e fra di esse la più carica di conseguenze tangibili risulta essere la sostanziale sovrapposizione all’interno degli ordini diramati dai comandi superiori tedeschi fra civili inermi e ipotetici fiancheggiatori asserviti al nemico <11.
In caso di attacchi – affermano infatti gli ordini di Kesselring del 7 aprile 1944 – bisogna immediatamente circondare le località in cui sono avvenuti; tutti i civili, senza distinzione di stato e di persona, che si trovano nelle vicinanze saranno arrestati. In caso di attacchi particolarmente gravi, si può prendere in considerazione anche l’incendio immediato delle case da cui si è sparato. […] In generale, i comandi di piazza locali dovranno rendere noto che alla minima azione contro i soldati tedeschi verranno prese le più dure contromisure. Ogni abitante del luogo dovrà essere ammonito in proposito: nessun criminale o fiancheggiatore può aspettarsi clemenza <12.
L’incalzante esortazione proveniente dalle massime autorità tedesche ad una lotta antipartigiana sempre più spietata e senza quartiere, rafforzata da ordini via via sempre più espliciti che offrono “carta bianca” ai singoli reparti, viene accolta in modi assai difformi dalle unità impiegate sul territorio italiano in funzione antibande.
I diversi comandi inferiori di fatto scelgono le modalità e il livello attraverso cui declinare gli ordini ricevuti dall’alto nel concreto delle azioni di guerra intraprese – in base alle circostanze, a seconda delle proprie precedenti esperienze in battaglia o a partire dalla cultura di guerra in esse dominante.
Mentre durante la primavera i casi d’uso sistematico e arbitrario della violenza contro i civili da parte dei militari tedeschi nelle zone ritenute d’interesse strategico (quali l’Appennino apuano e tosco-emiliano attraversati dalla nuova linea di difesa) risultano ascrivibili alla particolare solerzia e condotta assunta da specifiche formazioni – unità caratterizzate da una forte adesione ideologica al nazionalsocialismo o segnate da sanguinarie esperienze di lotta antipartigiana sul fronte orientale -, durante l’estate il confine che distingue la lotta contro la guerriglia armata dalle azioni militari indiscriminate contro civili disarmati residenti nelle località considerate rilevanti per la sicurezza delle truppe in ritirata sembra, invece, infrangersi a livello più generale. <13
[NOTE]

  1. Cfr. R. Katz, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine, Editori Riuniti, Roma 1968; A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999.
  2. Cfr. L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1945), Donzelli, Roma 1997, pp. 91-103.
  3. Ordine segreto del Comandante supremo sud-ovest alle armate subordinate del 7 aprile 1944, in Bundesarchiv-Militärarchiv, Freiburg (d’ora in poi BAMA), RH 19 X, vol. 35, fo. 142-144.
  4. Faccio riferimento in particolare alle norme che disciplinano l’uso della violenza legittima in guerra comprese nelle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907. Cfr. P. Pezzino, L. Baldissara (a cura di), Giudicare e punire: i processi per crimini di guerra tra diritto e politica, L’ancora del mediterraneo, Napoli 2005; E. Gallo, Diritto e legislazione di guerra, in Collotti, Sandri, Sessi, Dizionario della Resistenza, cit., vol. I, pp. 338-59.
  5. Cfr. G. Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale, L’ancora del mediterraneo, Napoli 2003.
  6. Per analizzare le strategie di guerra, fondate sul presupposto di una scontata asimmetria fra i contendenti e dunque sull’implicito riconoscimento di un’inferiorità culturale e di civiltà attribuita al nemico, resta determinante l’esempio rappresentato dal contegno di guerra messo in atto dalle forze armate tedesche nei confronti delle popolazioni civili sul fronte orientale a partire dal 1942. Cfr. O. Bartov, Fronte orientale. Le truppe tedesche e l’imbarbarimento della guerra (1941-1945), il Mulino, Bologna 2003.
  7. Cfr. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia, cit., pp. 51-2.
  8. Ordine segreto del Comandante supremo sud-ovest del 7 aprile 1944, cit.
  9. Per una più accurata analisi di questa specifica distinzione relativa ai tempi e ai modi attraverso i quali si dispiega la violenza tedesca sui civili nell’Italia centro-settentrionale, rimando il lettore ai paragrafi successivi. Per un quadro d’insieme sulla violenza di guerra contro gli inermi durante la Seconda guerra mondiale, si veda P. Pezzino, L. Baldissara (a cura di), Crimini e memorie di guerra: violenze contro la popolazione e politiche del ricordo, L’ancora del mediterraneo, Napoli, 2004.
    Toni Rovatti, Fra politiche di violenza e aspirazioni di giustizia. La popolazione civile vittima delle stragi di Monchio e Tavolicci (1943-1945), Carocci editore, 2009