Come furono accolti gli antifascisti di ritorno dall’estero resta ancora una questione storica aperta

Nelle scelte migratorie definitive degli esuli intervenne una molteplicità di fattori, in cui non è semplice scorgere se e quale peso abbiano avuto i fattori individuali, privati, il parere degli uomini, delle donne e dei figli; tuttavia le lettere private, la memorialistica e le testimonianze orali colmano in parte le lacune delle fonti istituzionali. La ricerca di Nicolas Foutrier <144, unica nel suo genere in un panorama storiografico francese che ha solamente approcciato il problema del ritorno degli esuli – stimolato dagli interventi di Vial e di Blanc-Chaléard <145- ha mostrato come ci si possa interrogare sulle ragioni del rientro, al di là delle spiegazioni politiche attribuite dalle memoria e dalla storiografia agiografica.
Di fatto, come accennato più sopra, si è dimostrato un certo disinteresse per il tema del ritorno dei “politici” dai due lati delle Alpi: in Francia la questione esulava dalla storia nazionale, che dopo l’esperienza di Vichy necessitava di rifondare le sue fondamenta democratiche nazionali; in Italia gli storici hanno dovuto affrontare una situazione politica di delegittimazione della Resistenza nell’ambito del Piano Marshall e dell’uscita dal governo dei comunisti, come ha spiegato ad esempio Filippo Focardi <146.
L’antifascismo, nella clandestinità o nell’esilio, è stato presentato come una fase di transizione politica, un “limbo”, come lo ha definito Simona Colarizi, di una minoranza che ha testimoniato nell’ombra, una lunga stagnazione che si è infine conclusa degnamente nel suo obiettivo concreto, che ha riscattato un estenuante e buio ventennio: la Resistenza. La rielaborazione a posteriori dei testimoni, in mancanza di fonti statistiche e quantitative affidabili data la contingenza bellica, ha affidato le valutazioni degli storici alla memoria dei protagonisti <147.
Se il ritorno degli esuli è stato presentato ordinariamente come una scelta politica, per comprendere più a fondo questa generalizzazione è indispensabile riconoscere l’estrema permeabilità delle figure di immigrato politico, rifugiato, immigrato economico che hanno caratterizzato la migrazione italiana dell’entre-deux-guerres: molti di essi non hanno lasciato l’Italia con l’intenzione di tornarvi, altri hanno mutato i propri progetti migratori subordinandoli ai cambiamenti delle condizioni politiche del Paese d’origine e dunque alle evoluzioni delle vicende del regime mussoliniano; molti cercarono di integrarsi nella società francese, anche politicizzandosi soprattutto attraverso la militanza sindacale durante il Fronte popolare; gli esuli stessi, partiti con il fermo intento di lavorare dall’estero per l’Italia, mutarono spesso progressivamente la prospettiva dell’esilio in quella dell’integrazione.
Come ha notato Antonio Bechelloni, già durante gli anni Venti gli immigrati politici hanno dovuto concepire il proprio esilio “dans la durée. Alors que les immigrés purement économiques – sans doute la majorité – sont plutôt adeptes, encore dans les années 20, de ce que d’aucuns ont appelé une migrazione circolare”, ovvero mentre gli esuli politici dovettero concepire già dai primi anni una permanenza durevole, gli immigrati economici usavano praticare il pendolarismo, le visite reciproche, la cosiddetta “migration tournante” <148.
Al di là dei dirigenti e dei maggiori quadri di partito, che hanno seguito spesso, soprattutto i comunisti, le direttive dell’organizzazione, quadri medi, militanti, simpatizzanti hanno vissuto e concepito il ritorno non come un atto politico o non soltanto come tale ma, come ha sostenuto Foutrier, come una risposta ad una situazione migratoria fallimentare, ad una rottura con il contesto di accoglienza <149.
La precarizzazione della vita degli immigrati portò a destabilizzazioni geografiche e socio-professionali, che rendevano difficoltosa la permanenza e la convivenza con una popolazione sempre più ostile e xenofoba. La disoccupazione e i continui spostamenti per trovare nuovi impieghi portavano a un’ulteriore marginalizzazione sociale, perdendo la reti di contatti costruite nell’ambiente di accoglienza <150.
Gli effetti delle nuove legislazioni discriminatorie in materia di espulsioni e réfoulement erano temperati dalla convivenza degli immigrati con parenti e in generale con la famiglia. Era soprattutto la presenza di una donna a costituire un fattore di stabilità sociale e a favorire l’integrazione; per dirla con Noiriel, le donne assunsero un ruolo di “agent stabilisateur <151”, favorendo la sedentarietà, il lavoro stabile, un programma di vita a lungo termine: da un progetto migratorio provvisorio il celibe o l’uomo solo passava ad un progetto durevole assieme alla propria compagna. Non sempre la presenza femminile allontanava l’immigrato politico dalla militanza, anzi la compagna partecipava spesso attivamente al suo impegno. Donne, figli, parenti erano seguiti dalla polizia francese e tampinati dai servizi segreti fascisti, sostenuti dalla protezione consolare <152.
La risoluzione ultima di restare e francesizzarsi o prendere la via del ritorno fu sollecitata dalla contingenza bellica, che precarizzò la situazione degli italiani, colpiti dalle misure contro gli “étrangers indésirables”, mentre il regime agevolava i rientri <153. Ma alla base di queste scelte vi furono motivazioni più profonde, che non possono essere ridotte a ragioni di opportunismo legato al momento. La decisione di restare maturò generalmente per gli esuli come progetto migratorio di tutta la famiglia, a seguito del raggiungimento di una certa integrazione e stabilizzazione, facilitata laddove gli antifascisti potevano godere del sostegno di una rete di compaesani <154. Generalmente nei luoghi a minore immigrazione regionale, perciò al di fuori della fascia del Sud-Est, era più difficile mettere radici dal momento che non esisteva una solida comunità ligure di antica data. “Mi piaceva Parigi perché era bella, avevo tante amiche ma […] ogni volta che arrivava una lettera dall’Italia erano lacrime, pianti… Per la famiglia, cosa vuoi? Mi mancava, avevo nostalgia dell’Italia…” <155.
Gli antifascisti più inquadrati e i dirigenti tendevano per la maggior parte a rientrare, contrariamente a quanto accadeva nella migrazione economica. Fu in questi casi il fattore politico a rivelarsi il più influente. Se si guarda alle fonti private, si vede maturare un’inedita consapevolezza della missione politica di cui gli antifascisti si sentirono investiti. Nel corso degli anni trascorsi in Francia, i fuoriusciti vissero a contatto con una società dinamica, si confrontarono con la Repubblica francese ma anche con il movimento internazionale attraverso i contatti con le altre comunità di esuli; seppero con il tempo compiere un’opera di profonda autocritica, non senza difficoltà, che portò a nuove strategie di lotta politica come il frontismo e il principio di unità antifascista. L’esperienza dell’esilio li aveva condotti ad elaborare, attraverso l’esperienza internazionale dell’antifascismo, un’inedita idea patriottica dell’antifascismo, volta a riscattare il proprio Paese lasciato tanti anni prima. È nelle lettere e nelle interviste dei migranti che vediamo comparire per la prima volta la parola “patria” tanto abusata dal regime come principio fondatore dell’antifascismo. Dopo aver militato nelle battaglie internazionali, l’avvicinarsi della guerra spinse gli esuli a ritrovare una dignità nazionale cui avevano pensato di dover rinunciare. Seppur in minoranza, anche le donne comparteciparono a questa nuova coscienza ed anzi alcune di esse si sarebbero ritrovate in Italia per entrare nella Resistenza, e divenire in seguito protagoniste della ricostruzione nei partiti di massa, nelle tante attività associative che andavano a colmare i vuoti istituzionali nella riedificazione del Paese, emulando l’esperienza di solidarietà delle associations d’émigration <156.
“[…] Poi è venuta la guerra. Siamo rientrati in Italia, e allora, lì m’han detto: “Vai, tranquilla, ti mandiamo noi il contatto”. Allora, un giorno, mentre son lì a Savona in piazza del Chiabrera, mi vedo venire davanti Bianca Diodati! «Ma sei tu?» – «Eh, sì, sono io. Meno male, guarda… avrei dovuto venirti a cercare tramite… – mi dice chi – dovevo venirti a cercare perché dovevo portarti il contatto». […] Insomma, è cominciata così” <157.
Come furono accolti gli antifascisti di ritorno dall’estero resta ancora una questione storica aperta. Certo, sono note le svalutazioni retoriche dell’esilio come segno d’attendismo, di un periodo di incubazione volto alla realizzazione ultima della lotta armata al fascismo: svalutazione dell’elaborazione intellettuale, della resistenza psicologica, del valore della tenuta della società civile, delle reti informali di network, della società familiare antifascista. Tutti temi che ci riportano a un materialismo e ad un pragmatismo che sta inaridendo sempre più la realtà europea attuale, dove la cultura intellettuale, umanistica e gli studi sociali passano in secondo piano, rispetto agli interessi dal ritorno economico-politico immediato. Ma come si svolse la reintegrazione degli esuli è un lavoro da affrontare, soprattutto alla luce della discriminazione operata dalla memoria, e solo in parte superata dalla storiografia, nei confronti dell’antifascismo popolare, non armato, internazionale, esule, impegnato per vent’anni e non solamente in pochi mesi di guerriglia. Le nuove partenze per la Francia sono state forse un segno di questa mancata accoglienza da parte della società d’origine. Revenir, c’est à nouveau partir <158…
[NOTE]

  1. Foutrier, 1940-1943… le retour des immigrés politiques italiens: un retour «politique»?, Université de Paris VII Denis Diderot, Maîtrise d’Histoire, sous la direction de Manuela Martini, a. 2003
  2. Vial, Notes sur le retour cit., pp. 59-76; Blanc-Chaléard, «Les mouvements d’Italiens entre la France et l’étranger», in Exils et migrations cit., pp. 71-85.
  3. Cfr. Focardi, La guerra della memoria cit.
  4. Simona Colarizi, «Problemi storiografici sul fuoriuscitismo e sull’antifascismo socialista all’estero», in L’emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo (1929-1939), Sansoni, Firenze 1982, pp. 1-12. Cfr. Foutrier, 1940-1943… cit.
  5. Cfr. Antonio Bechelloni, «Les antifascistes italiens en France», in Fernando Devoto, Pilar Bernaldo Gonzalez (a cura di), Emigration politique. Une perspective comparative. Italiens et Espagnols en Argentine et en France (XIXe-XXe siècles), L’Harmattan, Paris 2001, pp.
    103-122.
  6. Foutrier, 1940-1943… cit., p. 14.
  7. Cfr. ibidem.
  8. Noiriel, Le creuset français cit., p. 193.
  9. Cfr. Foutrier, 1940-1943… cit., pp. 61-63.
  10. Vial, «In Francia» cit., pp. 141-146; sulle misure di contenimento dell’immigrazione cfr. Police et migrants cit.
  11. Cpc: b. 209, f. Maria Felicita Astegiano; b. 761, f. Caterina Borgogno; b. 1116, f. Silfide Carro; b. 1472, f. Iolanda Comelli; b. 2794, f. Anita Laura Liprandi; b. 2866, f. Mansueto Lucherino; b. 3404, f. Antonio Moresco; b. 4043, f. Andrea Antonio Poggi; b. 4044, f. Gerolamo Andrea Poggi; b. 4045, f. Paolo Poggi; b. 4231, f. Enrico Rasi; intervista a Giuseppe Meneghini, Werter Bianchini, Antonio Luciani cit.; interviste a Georgette Marabotto, Martine Martini, Adria Marzocchi cit.
  12. Intervista ad Anna Michelangeli cit.
  13. Cfr. interviste ad Alessandra Grillo, Adria Marzocchi, Anna Michelangeli cit.; su Emilia Belviso: Schiapparelli, Ricordi di un fuoriuscito cit.; cfr. Miniati, Teresa Viberti cit; Cpc: b. 389, f. Bruno Bassano: lettere alla sorella Giordana; Antonio Cabella, «Préfiguration d’une nouvelle citoyenneté: l’expérience migratoire italienne», in L’Italia in esilio cit. pp. 24-35.
  14. Intervista ad Anna Michelangeli cit.
  15. Tornare, significa partire di nuovo…
    Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, anno accademico 2014-2015