Char sa parlare del mestiere di poeta

René Char – Credit: Roger Viollet/Getty Images/Martinie

È da tempo che giro e rigiro questo libro fra le mani. Ogni giorno penso di scrivere un post e ogni giorno rimando. A volte perché non mi sento all’altezza di questo poeta, a volte perché è troppo intimamente annodato alla mia vita per mettere in piazza le sensazioni che, anche dopo anni, mi suscita.
Oggi, non so perché è venuto il momento. Lui è René Char, poeta e scrittore francese morto nel 1988. Il libro che posseggo è stato pubblicato da Feltrinelli nel 1962, si intitola semplicemente Poesia e prosa. Le traduzioni sono di Vittorio Sereni e Giorgio Caproni, che firma anche le sette pagine della bella prefazione (come mai oggi invece le prefazioni sono diventate così prolisse?). Vorrei descrivere il libro: è composto di 577 pagine, quindi piuttosto massiccio. È foderato con un foglio di giornale del 19 settembre 1997, è una pagina sportiva del quotidiano La Repubblica perché il titolo di un articolo recita Hubner antidivo del gol. Ricordo che lo prestai per qualche giorno a un amico in quel remoto settembre e lui me lo rese foderato con la carta di giornale dicendo che era un peccato lasciare che la copertina originale si rovinasse. Quella fodera non l’ho mai più tolta e non ho più prestato il libro a nessuno.
Lo custodisco con la stessa gelosia di un diario. A volte lo apro a caso e ogni volta mi sorprende. Altre volte vado a cercare una prosa, la mia preferita si intitola La minuziosa, ma sono tutte bellissime, come le poesie. Non dirò della polemica su Char surrealista, né dell’arco di tempo lungo il quale Char abbia composto il materiale incandescente chiuso in questo libro. Internet ci dà tutte le risposte. Voglio raccontare invece come sia arrivata a conoscerlo e come abbia imparato ad amarlo.
Il libro apparteneva a mio padre, era un cultore di poesia e lui stesso autore di versi, a mio parere molto belli, pubblicati allora, parlo del 1978, da un piccolo editore di Roma.
Per un po’ di tempo non ebbi la forza di aprire il libro di Char e lo lasciai nella mia piccola biblioteca in formazione. Poi venne il giorno giusto e guardinga cominciai a leggerlo iniziando dalla raccolta Fogli d’Ipnos, le note scritte durante la resistenza quando sotto il nome di comandante Alexandre, Char aveva combattuto contro i tedeschi. Sono andata avanti, avida e felice; ho letto le poesie, a volte senza comprenderne subito il senso ma sentendone dentro il palpitare della vita, della natura e dell’essere umano con le sue devianze, le sue paure e la sua intelligenza. Avete presente lo stupore di quando aprite una porta e i vostri amici vi festeggiano? Ha qualcosa a che fare con le lacrime.
[…] Per me Char è stato scoprire la portata rivoluzionaria della poesia, la sua radicale adesione alla vita, il suo umanesimo. Nei suoi testi etica e poetica si confondono, seccamente, appassionatamente. Char sa parlare del mestiere di poeta, di quello di uomo, di quello di donna. Sa parlare della natura come nessuno. Qualche assaggio non rende l’idea, così come assaggiare l’olivo non racconta la bontà del sugo. Difficilissimo scegliere. Solo qualche passaggio che risuona spesso in me.
Fogli d’Ipnos
A tutti i pasti consumati insieme invitiamo la libertà. Il posto rimane vuoto ma il piatto resta in tavola.
Arpa breve dei larici
Sullo sperone di muschio e di lastre di germe
Facciata della foresta dove s’infrange la nube
Contrappunto del vuoto in cui credo
E ancora:
Il dubbio si trova all’origine di ogni grandezza(…) Non lo si accosti all’incerto provocato dallo sbriciolarsi della sensazione
È inutile. Ogni tentativo di dare la misura della sua grandezza si scontra con il limite imposto dalla mia scrittura. Pazienza. Comunque mio padre non poteva farmi regalo più grande. La passione per la poesia da allora non mi ha abbandonato. Ho poi amato grandissimi poeti, ma Char è rimasto il primo, colui che mi ha aperto la porta e mi ha fatto entrare. Una porta alla quale non sapevo di star bussando da anni […]
Margherita Loy, René Char: portata rivoluzionaria della poesia, Il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2012

Albert Camus, settant’anni fa, semplicemente, capitolò. «Ho sul mio tavolo le bozze di Fureur et mystère. Una parola sola, per dirti la mia gioia, per dirti che è il più bel libro di poesia in questa malcapitata epoca. Con te, la poesia diventa coraggio e fierezza». Fine settembre 1948, la leggenda di René Char(1907-1988), il poeta guerriero fu Alexandre durante la resistenza francese pari a Eschilo, il tragico-teologo che voleva essere ricordato perché c’era anche lui sulla piana di Maratona con l’elmo indosso, si salda nell’oro.
Energumeno, imperativo, schivo, Char è tra i grandi poeti del mondo moderno, al di là delle mode, con la furia a oltranza di chi combatte nei tunnel del linguaggio. Si faceva ispirare dai motti di Eraclito, dalla filosofia labirintica di Martin Heidegger, tenendo come cugino principesco Arthur Rimbaud, il poeta che «non si colloca», «porto naturale di tutte le partenze», «l’unica risposta dell’Occidente opulento, contento di sé, barbaro e poi senza forza… alle tradizioni e alle pratiche sacre dell’Oriente e delle religioni antiche così come alle magie dei popoli primitivi» (così in un testo esegetico e sentimentale del 1956). Influì anche sulla poesia italiana, il selvatico Char, Minotauro della poesia novecentesca. Se la traduzione di Fogli d’Ipnos è diventata una chiave per addentrarsi nell’opera poetica di Vittorio Sereni (suddito della poesia «insieme antielegiaca, antinarrativa, antidiscorsiva… d’illuminazione, ellittica, oracolare» di Char), s’è perso per strada il lavoro di Giorgio Caproni, che nel 1962 poco prima di licenziare per Garzanti la traduzione di Morte a credito di Céline , per Feltrinelli, insieme a Sereni, firma l’antologia Poesia e prosa dall’opera del titanico René. Ora, trent’anni dopo la morte di Char, dando una scossa al sistema editoriale italico che endemicamente manda in oblio autori salvifici, Elisa Donzelli recupera, sotto la sigla Poesie (Einaudi 2018, pagg. 242, euro 16), i testi di Char tradotti da Caproni, ricostruendo i rapporti tra i due poeti radi ma soprattutto il modo sinuoso in cui il verbo di Char s’incardina nell’opera del poeta nostro […]
Davide Brullo, Alla riscoperta dei versi perfetti di René Char, il Giornale.it, 18 ottobre 2018

Il poeta René Char attribuiva una particolare importanza all’impiego della scrittura a mano, specie quando si trattava di preparare copie dei propri testi da adibire al ruolo di oggetto-dono. L’esempio più noto è costituito dai ventotto «manoscritti miniati» da lui realizzati in collaborazione con artisti di prestigio (Picasso, Léger, Miró, Ernst, Brauner, Lam, Giacometti, per citarne solo alcuni). Questi fogli, che associavano la nitida scrittura del poeta a bellissime immagini realizzate dai pittori, erano stati in gran parte pensati per una precisa destinataria, la gallerista Yvonne Zervos, e oggi vengono spesso esposti nelle mostre dedicate al poeta. Uno di questi manoscritti, illustrato da Jean Arp, è stato riprodotto per intero in un volume (Lettera amorosa, suivi de Guirlande terrestre, Paris, Gallimard, 2007) che si apre con la versione definitiva a stampa del medesimo testo, impreziosita da litografie a colori di Georges Braque.
Esistono però altri lavori in cui Char ha voluto associare la chirografia ad immagini più sobrie e modeste rispetto a quelle realizzate dai suoi amici pittori.
È il caso di Le trousseau de Moulin Premier, ora pubblicato per la prima volta in facsimile (Paris, La Table Ronde, 2009). Originariamente si trattava di un piccolo album in copia unica, datato 1937, che riuniva dodici vecchie cartoline con vedute del luogo natale, L’Isle-sur-Sorgue in Provenza. Sotto di esse il poeta aveva trascritto alcuni versi aforistici tratti da un proprio libro apparso l’anno prima, “Moulin premier”, mentre sulle pagine bianche a fronte delle cartoline aveva riportato le varie strofe della poesia “Versions”, divenuta poi, in una stesura ampliata, “Dent prompte”. Quest’insolito dono era destinato a Greta Knutson, più tardi ispiratrice di una delle più celebri liriche amorose chariane, “Le Visage nuptial”.
Come si vede, l’album si colloca al centro di un fitto gioco intertestuale, ma al tempo stesso merita di essere fruito a sé, come prodotto autonomo.
[…] Si può trovare una conferma di ciò in un testo degli anni Cinquanta, compreso da ultimo in “La Parole en archipel” e posto sotto il titolo emblematico di “Déclarer son nom”: «Avevo dieci anni. La Sorgue m’incastonava. Il sole cantava le ore sul saggio quadrante delle acque. La noncuranza e il dolore avevano sigillato il gallo di ferro sul tetto delle case e si sorreggevano a vicenda. Ma quale ruota nel cuore del bambino in agguato girava più forte, girava più veloce di quella del mulino nel suo incendio bianco?».
In altri scritti chariani, dunque, il legame con l’infanzia e col territorio viene espresso senza ambagi e con grande forza poetica. Se volessimo tornare al nostro punto di partenza, potremmo invitare ad osservare (nel catalogo René Char. Paysages premiers, Paris, Hazan, 2007) una versione manoscritta di questo poème en prose. L’autore stesso ha colorato e disegnato il foglio: il testo è scritto ad inchiostro nero su un fondo tinto di azzurro ma, sovrapposta alle parole, si staglia con nettezza l’immagine di una ruota da mulino, segnata al centro, in corrispondenza del mozzo, da una macchia di un rosso luminoso, quasi a suggerire l’idea di un cuore pulsante, di un punto di irradiazione vitale.
Giuseppe Zuccarino, René Char, fogli di via, numero 1, Genova

Scavalcare «d’un balzo i lugubri ordini cronologici della stirpe» <40 è prerogativa della finzione della letteratura, azione decisa di un poeta che, secondo la definizione di René Char, tradotto in questi anni da Caproni, è soprattutto «empereur pré-natal» che «transforme indifféremment la défaite en victoire, la victoire en défaite» <41.
40 AGAMBEN, Disappropriata maniera, cit., p. 16.
41 R. CHAR, Partage formel, III, in Id., Oeuvres complètes, introduction de Jean Roudaut, Paris, Gallimard, 1983, p. 155. Caproni poteva leggere il frammento di René Char in Id., Poèmes et prose choisis, Paris, Gallimard, 1957, un volume tradotto poco dopo in collaborazione con l’amico Vittorio Sereni (che si occupa dei soli Feuillets d’Hypnos); la versione caproniana del frammento citato suona: «Il poeta trasforma indifferentemente la sconfitta in vittoria, la vittoria in sconfitta, imperatore prenatale unicamente volto alla raccolta dell’azzurro» (R. CHAR, Poesia e prosa, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 448). Da segnalare ancora, in merito al nostro discorso, il commento caproniano all’«incontro estremamente odoroso» della poesia d’apertura della raccolta (Congé au vent): «“Incontro estremamente odoroso”, già dalla prima pagina del presente libro la Bellezza – cioè la vita nella sua vera essenza, fuor d’ogni mistificazione e tutta legata alla terra dove si compie il destino dell’uomo, senza che esso abbia bisogno, per essere nobilitato, d’aloni misticheggianti o estetizzanti o sentimentali – muove verso il lettore con la concretezza e il passo leggero d’una ragazza, “le cui braccia si sono adoperate”, durante il giorno, tra i fragili rami delle mimose. […] Nessuno potrà dimenticare, letto “Congé au vent”, questo incontro, così come nessuno ha potuto dimenticare l’altro con “la donzelletta” che “vien dalla campagna in sul calar del sole, col suo fascio dell’erba” (G. CAPRONI, Prefazione a R. CHAR, Poesia e prosa, cit., pp. 11-12).
Daniele Santero, «Una fanciulla passatami a fianco»: destini della donna in Caproni, Lettere italiane, Anno 2005 – Annata: LVII – N. 1 Mese: gennaio-marzo

Il villaggio di Céreste nel 1941: immagine con annotazione autografa di René Char – Fonte: Wikipedia

Le poète fait éclater les liens de ce qu’il touche. Il n’enseigne pas la fin des liens.
La scrittura poetica di René Char è caratterizzata da brevità e da velocità: il ritmo estremamente rapido, sulla scorta di André Breton che, ne L’Amour fou, insisteva: «La beauté sera convulsive ou ne sera pas» <17. Char segue anche un altro maestro, Arthur Rimbaud, che si distingue per la “dialettica ultrarapida” <18. Il poeta deve affrontare il mondo con urgenza impellente (Tu es pressé d’écrire19), dato che les mondes éloquents ont été perdus e i frammenti di bellezza sopravvissuti devono esser mantenuti. La rapidità si scorge nell’immagine, in maniera analoga a come era trattata dai Surrealisti <20, ma anche nella forma del frammento, dell’aforisma o di versi brevi martelés, come:
Visage, chaleur blanche,
Sœur passante, sœur disant,
Suave persévérance,
Visage, chaleur blanche <21.
Si tratta di una poesia ellittica, che usa strumenti mirati e punta sul rigore dei suoi meccanismi. L’economia dei suoi legami logici provoca dei corto-circuiti nella poesia, da cui emerge l’éclair poetico22. Al discorso o al commento, l’artista ama alternare il raccourci fascinateur. Lo dimostrano anche i titoli che oscillano fra la sintesi più estrema e misteriosa, come éprise <23 o Société <24, e la verbosità più curiosa e singolare poiché difficilmente ricollegabili <25 con il resto dei titoli o il contenuto dei poèmes e della prosa poetica (per esempio, Comment te trouves-tu là? Petite marmite, mais tu es blessée! <26 titolo di una raccolta dove, fra i tanti argomenti trattati, è celebrata l’unione dell’uomo con la natura e il disprezzo per il Maître Mécanicien <27).
Le forme dell’espressione sono ben definite nella poesia chariana e in stretta connessione dialettica fra loro. Char è il poeta dell’aforisma, del nœud o dell’éclair, ma anche il poeta di una retorica esplicitata, di una forza d’espansione, di cui il poème en prose è portatore. Se l’aforisma e il frammento sono il primo polo dialettico, l’altro è costituito dal poème en prose, dal poème en vers e dalla prosa poetica (o poetizzata). Nella Mise en garde de La Sieste blanche <28, un nous locuteur invita a identificare, a classificare i testi poetici in base alla loro collocazione: «Nous avons sur notre versant tempéré une suite de chansons qui nous flanquent, […]». Questo pronome lega strettamente la versificazione al cammino e gli riconosce, come principale virtù, la transitività fra gli stati o fra i regni (appannaggio, un tempo, del dio Ermes). Ciascun “a capo” è un nuovo impulso, che porta ad avanzare, apre verso un’immagine inattesa, stabilisce nuove connessioni e svia il lettore da qualsiasi poetare tradizionale <29. A volte, il poème in versi si restringe fino a diventar un haikai, proprio perché poche parole si rivelano sufficienti per far emergere l’emozione poetica dalla realtà quotidiana; assomiglia all’arte dell’istantanea, che coglie l’eterno nel cuore dell’effimero, dipingendo il reale sfuggente, difficilmente fissabile e generato dallo sguardo sul mondo. Il poeta parla della vita semplice, à fleur de terre, dando più voce al nascosto, al minimo, a tutto ciò che sait tirer parti de l’éternité d’une olive. L’artista unisce i frammenti sparsi di realtà e dà così forma alla continuità <30. Dal frammento, prolungatosi e ampliatosi, si scivola verso la forma del poème in versi, che può evolvere in più pagine (come succede nel caso di Le Visage nuptial <31), senza disperdere né forza né densità. Da quest’espansione, il passo verso il poème en prose è breve: là, c’è pari complessità e si sviluppa una fitta rete di rapporti, impensati e inediti, che costituiscono la forza e l’innovazione chariane. Ogni composizione rimanda, perciò, a nuovi spazi, spostando in avanti, continuamente, i riferimenti di lettura e rendendo difficile l’interpretazione.
17 Paris, Gallimard, 1937, p. 21.
18 E ancora: «[…] sa découverte, sa date incendiaire, c’est la rapidité. […]» (Arthur Rimbaud in III. (…)
19 II, Commune présence, Moulin premier, Le Marteau sans maître, OC, p. 80.
20 «L’image surréaliste n’est pas un produit extraordinaire: c’est la vitesse maximum qu’on ait attein (…)
21 Sur le volet d’une fenêtre, Les Loyaux Adversaires, Fureur et mystère, OC, p. 239.
22 In un’intervista con F. Huser, René Char sottolineava: «Je ne brûle pas les relais, mais je les élu (…)
23 Effilage du sac de jute, Fenêtre dormantes et porte sur le toit, OC, p. 621.
24 Te devinant éveillé pour si peu…, Les Voisinages de Van Gogh, OC 1995, p. 832.
25 Interessante il contributo di C. Dupouy, René Char, Paris, Les Dossiers Belfond, 1987, 336 pp., nel (…)
26 Fenêtres dormantes et porte sur le toit, OC, p. 599.
27 Comment ai-je pu prendre un tel retard?, III. Comment te trouves-tu là? Petite marmite, mais tu es (…)
28 Les Matinaux, OC, p. 291.
29 A questo proposito, nell’articolo Victor Brauner, Char trova l’occasione per riaffermare: «Le poète (…)
30 P. Née, Le sens de la continuité dans l’œuvre de René Char, Thèse de doctorat (nouveau régime), Uni (…)
31 Seuls demeurent, Fureur et mystère, OC, pp. 151-153.
Barbara Bottari, Écriture pulvérisée e parole en archipel: annotazioni sulla scrittura di René Char, Studi francesi, Rivista quadrimestrale fondata da Franco Simone nel 1957, 158 (LIII | II) 2009

Ritratto di René Char
(1944) – Fonte: Wikipedia

[…] Si polverizza il canto perché dalle ceneri sorga una parola nuova, che dia natura e nitore all’alba del prossimo millennio. Char, in quel grumo di anni, conosce Camus e Braque, divorzia dalla moglie, Georgette Goldstein, si unisce all’antropologa Tina Jolas, instaura una frugale asperità nel dire, assurge alla sorgente della solitudine. Se la poesia va scovata, scavando a perpendicolo tra la petraia delle civiltà sepolte e la fiumana dei futuri, il poeta è creatura da pretendere, da predare nella giungla, nella giuncaia dei sensi. Di René Char molto si dice – troppo poco si pubblica. Capisco: educarsi alla luce significa non accettare altra cecità.
Vent’anni fa, nel 1999, Palomard esce con una silloge di Poesie di Char. Non dico l’assurdo dicendo che la traduzione di Pasko Simone e più bella di quelle – bellissime per altro modo, per l’incontro con il poeta – di Vittorio Sereni e di Giorgio Caproni. Il libro mi è stato donato, e diventa verbo da masticare appena svegli, quando la finestra che sfoga in azzurro mi abbaglia, e così il suono delle nuvole. Mastichi quel verbo che non ha bisogno di meditazione ma di tocco – la poesia non si ‘comprende’, si assedia – e il seguire delle ore – “la stregoneria della clessidra”, dice Char – è sequela giustificata, sguainata. Un libro introvabile, forse, per questo, un dono memorabile, di insopprimibile bellezza.
“Tradurre Char vuol dire amarlo. La pazienza, la dedizione, la passione non possono essere che quelle di un amante eccezionalmente felice perché corrisposto in ogni sua aspettativa”, scrive Pasko Simone. La traduzione di Char è compito liturgico, anche la lettura è ingresso in un luogo, in una dimora. Le parole fanno questo: aprono una dimora, una città rifugio.
Penso che bastino le parole giuste per convertire un destino dal terrore all’amore del buio e di tutte le sue tigri. Le parole agiscono come mute di cani e statura d’abete. Se la parola assertiva carcera quella poetica apre, turba per eccesso di possibilità, ti scaglia alla pianura sterminata, al sauro senza briglie.
Dare peso alla notte – leggeri – e poi disfarsi, signoreggiare sull’impossibile, essere i contadini del proprio abisso, “ma tu hai scavato negli occhi del leone” – per dissotterrare quale speranza?, quale acuminata promessa? René Char ci insegna a non obliare il dolore, che è la nostra identità, ma a curarlo, come la cosa cara, lo sgomento che conforta. Si spartisce la morte dopo l’amore, dissi, perché l’amore sia un patto, il più forte. (d.b.) […]
Redazione, “Non abbandonare la cura con cui regoli il tuo cuore su queste tenerezze parenti dell’autunno”: intorno a una poesia di René Char (in traduzione d’eccellenza, introvabile), Pangea, 6 giugno 2019