Anna Kuliscioff e il monopolio dell’Uomo

Anna Kuliscioff
Fonte: Fondazione Anna Kuliscioff

Nel 1890 al Circolo Filologico milanese, il manifesto “anticlassista” della parità tra uomo e donna. Non subito condivisa da Turati, fece poi scuola nel mondo.
Il 27 aprile 1890 Anna Kuliscioff tiene, prima donna in Italia, una conferenza al Circolo Filologico milanese di via Clerici; tema dell’incontro “Il monopolio dell’uomo”. La sala è affollata, in specie da ragazze interessate al nuovo, fuggite dalla tutela familiare e dall’ordine di non partecipare ad un incontro con una ex terrorista! Il discorso si tenne nell’anno che precede la nascita della Critica Sociale, la rivista fondata assieme a Filippo Turati da cui prese impulso nel 1892 il Partito socialista. A giusto titolo “Il monopolio dell’Uomo” e’ ritenuto il manifesto del femminismo italiano: la Kuliscioff infatti fu protagonista della battaglia per l’ eguaglianza delle donne nella società e non solo per la loro emancipazione, parola che lei riteneva ambigua e che a suo dire denotava anche un difetto del “sentimentalismo” femminile dietro cui si giustificava la sua debolezza, anche se certamente reale, ma imputabile a ragioni storiche e sociali profondamente radicate nel tempo e introiettate. In sostanza, al pari della D’Hericourt ( che polemizzo’ con Proudhon) e del filosofo liberale e socialista Stuart Mill, per la prima volta in Italia, alla vigilia del sorgere del socialismo, la Kuliscioff poneva sotto un’ altra luce la questione della subordinazione femminile nella società e nella famiglia rispetto alla consuetudine – anche nella sinistra e nella democrazia di allora: l’ inferiorità della donna non è un fatto “naturale”, antropologico, ma un fatto di natura sociale. In questo Anna superava un confine mai valicato nella stessa cultura positivista e scientista che era la base del “progressismo” di fine ottocento. Introduceva cioè il concetto di eguaglianza sotto il profilo morale e non solo economico, introduceva cioè l’autonomia del concetto di umanità rispetto alla storia sociale. È l eguaglianza tra uomini e donne in quanto enti morali a dare legittimità alla giustizia, a renderla misura della moralità sociale in coerenza con il diritto naturale. Per converso, la condanna dell’ ingiustizia sociale non era più concepita meramente come ingiustizia “misurabile e quantitativa”, ma – con la questione femminile così posta – la questione dell’ eguaglianza assumeva la qualità di un valore universale mai compiutamente raggiunto nella storia, e per questo motore continuo del movimento dei lavoratori solo se movimento anche di giustizia in generale. Le parole di Anna Kuliscioff quella sera di aprile del ’90 conquistano il pubblico; ma a coinvolgere i presenti è soprattutto lo stile passionale con cui si esprime. Solo il lavoro sociale e retribuito al pari dell’uomo può portare la donna alla conquista della libertà, della dignità e del rispetto; mentre il matrimonio non fa che umiliarla in una dramma che le toglie la personalità e l’indipendenza. Ella sostiene, in uno scritto successivo, che vi sono “due forme oggi imperanti di servitù della donna nei rapporti sessuali: la prostituzione propriamente detta e il matrimonio a base mercantile”. Oggi tutto questo sembra ovvio, ma allora era considerato un vero e proprio sacrilegio, anche nel movimento dei lavoratori e non sono poche le polemiche che Anna dovette affrontare con i socialisti e persino col suo stesso compagno di vita Filippo Turati, ad esempio sul diritto al voto anche per le donne. Prova ne è che persino la “sua” Critica Sociale pubblica questa conferenza solo quattro anni dopo, nel 1894. Evidentemente più’ che di censura, si trattava di non creare eccessivo scandalo nel nascente movimento socialista.
Dalla Conferenza “Il monopolio dell’Uomo” di Anna Kuliscioff
“Potrebbe, teoricamente, sembrare che, poiché al giorno d’oggi il privilegio di qualsiasi natura – cardine essenziale di tutti gli istituti sociali, dei diritti civili e politici, dei rapporti fra le varie classi e fra l’uomo e la donna – viene discusso, combattuto e perde terreno dovunque – potrebbe sembrare, dicevo, che da ciò venir dovesse anche un po’ di giustizia per la donna, la vittima più colpita nei rapporti sociali moderni. Chi osserva spassionatamente i fenomeni sociali moderni deve riconoscere che la condizione sociale della donna, questo elemento così importante della civiltà, è uno dei fenomeni più tristi in mezzo alle istituzioni moderne, è un residuo di un mondo intellettuale e morale che va scomparendo dovunque. Non è con una breve chiacchierata che potrei indagare le cause di codesto fenomeno, cause molto complesse, che richiederebbero lunghi e profondi studi ed interi volumi. Qualunque fosse quindi l’origine dell’inferiorità sociale della donna, origine fisiologica, economica, etica, o fosse puramente un prodotto del prevalere brutale della forza, il fatto sta che ora si tratta di una questione di dominio, si tratta del privilegio di tutto il sesso maschile, privilegio e dominio che sono un vero anacronismo in un’epoca, in cui la donna ha progredito sotto tutti i rapporti e morali e intellettuali. Il monopolio dell’uomo è troppo vasto per poterne trattare tutte le manifestazioni: in famiglia, nei diritti civili e politici e nel campo della lotta per l’esistenza, sia materiale sia intellettuale. Mi limiterò principalmente al monopolio dell’uomo nel campo della lotta per l’esistenza, dove la donna ha sempre avuto una parte notevole, ma sempre anche subordinata a quella dell’uomo. Il desiderio sempre più manifesto della donna di rendersi economicamente indipendente è un fenomeno particolare dei tempi recenti; poiché la vita moderna spinge dovunque la donna al lavoro, per necessità economiche nella grande maggioranza delle classi lavoratrici e delle classi medie, e per ragioni morali nella piccola minoranza delle classi dominanti. In America c’è voluto un mezzo secolo di lavoro femminile nell’industria, nell’istruzione pubbli- ca, nelle professioni libere, nessuna esclusa, perché le donne americane ottenessero, non il diritto al voto deliberativo, che si è ottenuto in uno solo degli Stati Uniti, ma soltanto il diritto al voto consultivo nei corpi politici, nelle commissioni legislative e nelle assemblee generali. Non sono che sette anni che la legislatura del Kentuky sentiva due donne, la Benet e la Hoggart, patrocinare i diritti del loro sesso. Le donne avvocatesse di se medesime suscitarono, naturalmente, grande curiosità sia fra i deputati sia fra il pubblico accorso numerosissimo alla Camera. Gli scettici ed i maligni furono disarmati e vinti dall’eloquenza e dall’erudizione giuridica della Miss Hoggart; e lo stesso giorno fu presentato un bill, che conferiva alle donne il diritto all’amministrazione dei loro beni ed alle madri un’autorità sui figli eguale a quella del padre. Ormai nessuna persona intelligente e di buon senso crede più ai miracoli; e le leggi vigenti, che riguardano le donne, subiranno la stessa evoluzione di tutte le altre leggi. Perché, direi colle parole dello Spencer, che “a misura che la cooperazione volontaria modifica sempre più il carattere del tipo sociale, il principio tacitamente ammesso dell’eguaglianza dei diritti per tutti diventa condizione fondamentale della legge.”
A.K., Anna Kuliscioff, leader del femminismo europeo, 8 marzo 2021 in

[…] Nata nel 1854 a Moskaja (Cherson), da un’agiata famiglia di mercanti ebrei, Anna, dotata di una straordinaria memoria e di una eccezionale predisposizione al ragionamento logico e rigoroso, fu incoraggiata sin dall’infanzia a coltivare gli studi con maestri e governanti privati e si interessò molto presto di politica. Nel 1871 si trasferì a Zurigo per proseguire gli studi di filosofia, poiché in Russia alle donne era proibito l’accesso all’università. Testimonianza della sua indole passionale e dell’ansito paritario fu il gesto clamoroso con cui strappò il libretto universitario quando, nel 1873, fu ordinato agli studenti russi di abbandonare l’università di Zurigo, pena la non ammissione agli esami in Russia. Ordine, tra l’altro, sostenuto dalla motivazione secondo cui le giovani russe si recavano all’estero non per assecondare il demone degli studi, ma per abbandonarsi agli impulsi del libero amore. Era una vera provocazione.
Tornata in Russia nel 1874 per dedicarsi alla politica attiva, già nel 1877 fu costretta a riparare in Svizzera, in seguito all’ondata di arresti provocati dai vari movimenti di piazza che in quegli anni agitavano non solo la Russia, ma gran parte dell’Europa. Proprio in Svizzera conobbe Andrea Costa, con il quale si trasferì a Parigi per collaborare all’Internazionale di Kropotkin. Ma nel ‘78 venne arrestata ed espulsa dalla Francia e fu di nuovo in Svizzera. Di idee anarchiche, Costa si avvicinò al socialismo proprio grazie ad Anna. Erano, quelli, anni di repressione durissima, che li videro entrambi vittime di continui arresti e di processi sommari. In particolare il processo a Firenze del 1880 suscitò molto interesse nell’opinione pubblica e dette molta visibilità alla personalità della Kuliscioff.
La lontananza forzata e il temperamento geloso di Costa però incrinarono per sempre un rapporto già conflittuale. Andrea dal carcere scrive ad Anna della propria gelosia, rivolta in modo particolare a Carlo Cafiero con cui Anna, a Lugano, aveva avviato un fitto dialogo politico e umano. Alle accuse del suo compagno, la Kuliscioff replica con fermezza: «Io alla fine vedo una cosa: agli uomini come sempre è permesso tutto, la donna deve essere di loro proprietà. La frase è vecchia, banale, ma ha le sue ragioni d’essere e l’avrà chissà per quanto tempo ancora».
La sfiducia e i dissapori, inaspriti dalla lontananza, inabisseranno definitivamente nel 1885 il loro amore, dal quale nacque una figlia, Andreina.
In Svizzera la Kuliscioff aveva ripreso gli studi ed era passata dall’ingegneria alla medicina. In seguito alle numerose detenzioni aveva contratto la tubercolosi e le vennero consigliati climi più miti. Si trasferì così, con la figlia, a Napoli. Nel 1888 si specializzò in ginecologia, prima a Torino, poi a Padova. La sua tesi era dedicata alle cause della febbre puerperale, e avendone indicato l’origine batterica, aprì la strada alla scoperta che avrebbe salvato milioni di donne dalla morte dopo il parto. Si trasferì poi a Milano, dove cominciò ad esercitare l’attività medica, recandosi tra l’altro anche nei quartieri più poveri della città. Dai milanesi venne chiamata la “dottora dei poveri”.
A Milano entra in contatto con le principali esponenti del femminismo milanese, Anna Maria Mozzoni, Paolina Schiff e Norma Casati, che nel 1882 avevano formato la Lega per gli interessi femminili. Da qui in avanti l’impegno di Anna Kuliscioff nella questione femminile diviene sempre più chiaro e incalzante, sino a culminare nel bellissimo intervento al Circolo filologico di Milano, nell’aprile del 1890: Il Monopolio dell’uomo. Un intervento forte, dall’impostazione originale e moderna, che non solo considera la questione femminile da un’angolazione economica (prospettiva “obbligata” per chi come lei si considerava parte del firmamento marxista), ma che soprattutto scava tra i ritardi, le motivazioni sociali, i pregiudizi culturali che la accompagnano e che trovano le loro radici in una mentalità chiusa, gretta e in abitudini di secolare sopraffazione. L’aspetto innovativo dell’intervento di Anna Kuliscioff, però, risiede nel modo di denunciare le angherie riservate all’altro sesso. «Non farò, tuttavia, una requisitoria – così esordisce la Kuliscioff al convegno milanese -. Non è una condanna ad ogni costo dell’altro sesso che le donne domandano; esse aspirano anzi ad ottenere la cooperazione cosciente ed attiva degli uomini migliori, di quanti, essendosi emancipati, almeno in parte, dai sentimenti basati sulla consuetudine, sui pregiudizi e soprattutto sull’egoismo maschile, sono già disposti a riconoscere i giusti motivi che le donne hanno di occupare nella vita un posto degno per averne conquistato il diritto».
Se l’inferiorità della donna nasce dai privilegi maschili, superarla risulta certo assai difficile perché il predominio dell’uomo esce come consacrato da schemi sociali giuridici e politici che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che da qui, sull’onda lunga della storia, giunge fino ai moderni a rinsaldare la catena della subordinazione femminile.
«L’esperienza di altre e molte donne – argomenta Anna – che si alternarono a deviare dal binario tradizionale la vita femminile in genere, e soprattutto l’esperienza mia propria, m’insegnarono che, se per la soluzione di molteplici e complessi problemi sociali si affacciano molti uomini generosi, pensatori e scienziati, anche delle classi privilegiate, non è così quanto al problema del privilegio dell’uomo di fronte alla donna». E aggiunge: «Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e di qualunque classe sociale, per un’infinità di ragioni poco lusinghiere per un sesso che passa per forte, considerano come un fenomeno naturale il loro privilegio di sesso e lo difendono con una tenacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio, chiesa, scienza, etica e leggi vigenti, che non sono altro che la sanzione legale della prepotenza di una classe e di un sesso dominante».
Sarebbe, dunque, semplicistico attribuire l’inferiorità della donna all’egoismo e alla prepotenza maschile. È una condizione, quella femminile, assai più complicata e subdola; sì, subdola perché il passare del tempo e l’evoluzione intellettuale e morale dell’uomo ha trasformato l’antica condizione di schiavitù della donna; ma, appunto, l’ha trasformata non l’ha abolita, e anzi – auspice anche la tradizione cristiana -, quella condizione di mite arrendevolezza è stata santificata dalle stesse donne.
«I detti di San Paolo – ricorda la Kuliscioff – di San Giovanni Crisostomo, di Sant’Agostino, di Sant’Ambrogio ed altri, tutti d’accordo a chiamare la donna la porta del demonio, lo provano a sufficienza. E questi concetti, modificati e rifatti poi dalle varie chiese e soprattutto dalla chiesa cattolica, informano ancora dopo tanti secoli la sostanza delle opinioni che hanno gli uomini e, purtroppo, anche le donne stesse, sulle capacità, sulle attitudini e sui rapporti reciproci dei due sessi (…) così per le donne sono rimaste leggi ed istituzioni che hanno origine dalla forza brutale, consacrate e sanzionate dalla chiesa e diventate poi anche base dei codici civili vigenti». Da qui muove Anna per descrivere la parabola della donna, dall’eta’ primitiva agli albori della società industriale, con “l’altra metà del cielo” sempre piegata sotto il giogo della sopraffazione e dello sfruttamento. «Si potrebbe dire con Letourneau – sottolinea con forza la Kuliscioff – che il primo animale domestico dell’uomo è stato la donna, perché in condizioni dispari di lotta, essa rimaneva la vinta, ma vinta soltanto dalla forza brutale».
La prima denuncia di Anna Kuliscioff è la mancanza di solidarietà tra le donne, il loro essere divise da un’opinione dura e refrattaria agli slanci dell’emancipazione. Sebbene l’intervento della Kuliscioff ebbe una risonanza internazionale, in Italia l’eco delle sue parole si spense subito.
Nel 1891 insieme a Filippo Turati, fondò la rivista «Critica sociale», dalle cui colonne perorò molte cause, a cominciare dal riscatto delle donne, che ella sostenne in tutti i modi. Tutti, proprio tutti: promuovendone l’emancipazione intellettuale e morale, sostenendone l’indipendenza economica, difendendone i diritti. Dal primo decennio del Novecento fino allo scoppio della Grande Guerra sosterrà con tutti i mezzi possibili la battaglia per il suffragio universale, unitamente ad alcuni fra i più angolosi eretici del socialismo italiano, come Gaetano Salvemini.
Dopo la rottura con Andrea Costa nel 1885, Anna Kuliscioff e Filippo Turati si unirono in un sodalizio durato quarant’anni, che corrispose all’espressione più alta del movimento socialista in Italia. Un grande amore e un’intesa umana e intellettuale non disgiunta però dall’indipendenza di pensiero di Anna e dalla necessità di vegliare e affermare la propria individualità.
La misura di questa indipendenza sta in una boutade di Antonio Labriola, secondo il quale il socialismo italiano contava un uomo soltanto, che poi era una donna: Anna Kuliscioff. Il luogo-simbolo, che poi divenne come una specie di santuario fu il loro appartamento a Milano in via Portici Galleria al numero 23, il cui salotto venne adibito a redazione di «Critica sociale», e che fu il punto di ritrovo degli esponenti politici del tempo, ma anche l’asilo di persone comuni, come le “sartine”, che trovavano in Anna una confidente leale e generosa. E proprio da Milano la Kuliscioff sostenne concretamente la questione femminile all’interno del movimento socialista, dapprima con la legge Carcano, approvata nel 1903, per la tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, elaborata dalla stessa Kuliscoff e presentata da Turati, e poi con la battaglia per il suffragio universale.
Agli inizi del Novecento il dibattito sul voto ruotava intorno alla richiesta di estenderne il diritto a tutti i cittadini maschi, anche analfabeti. Dell’eguale prerogativa per le donne, invece, nessuno, o quasi, si dava pensiero. Lo stesso Turati giustificava la posizione del Partito adducendo come motivo «la ancora pigra coscienza politica di classe delle masse proletarie femminili». Immediata la risposta di Anna Kuliscioff su «Critica sociale»: «Direte, nella propaganda, che agli analfabeti spettano i diritti politici perché sono anch’essi produttori. Forse le donne non sono operaie, contadine, impiegate, ogni giorno più numerose? Non equivale, almeno, al servizio militare, la funzione e il sacrificio materno, che da’ i figli all’esercito e all’officina? Le imposte, i dazi di consumo forse son pagati dai soli maschi? Quali degli argomenti, che valgono pel suffragio maschile, non potrebbero invocarsi per il suffragio femminile?».
Sulla questione del suffragio universale, inteso come estensione del voto a tutti, donne e analfabeti inclusi, Anna Kuliscioff trovò rispondenza di idee con Gaetano Salvemini, lo storico pugliese noto per il suo temperamento impetuoso.
«Ora – si lamentava Turati in una lettera alla Kuliscioff – Salvemini mi scrive che, se il suo progetto di suffragio è buono, dobbiamo farlo nostro, se cattivo, presentarne uno migliore, far subito, fare grosso, e via via con tutte le solite impertinenze, pum, pum, pum». Ma le querimonie di Turati non trovavano facile accoglienza nella Kuliscioff, che invece trovava in Salvemini una consonanza di idee, dalla condanna della politica giolittiana alla necessità di estendere il diritto al voto a tutti, analfabeti e non, uomini e donne.
Anna Kuliscioff non solo si era schierata apertamente contro le posizioni ufficiali del Partito Socialista (e quindi anche di Filippo Turati), ma aveva sempre mostrato il suo scetticismo, per non dire il suo disprezzo, nei confronti del femminismo borghese che rivendicava diritti solo per le donne appartenenti a determinate categorie sociali.
Ma nel 1912 il governo Giolitti approva una legge che, sotto il (falso) nome di suffragio universale, concede di fatto il voto a tutti gli uomini alfabeti che abbiano compiuto i ventuno anni di età, e a tutti i maschi analfabeti che abbiano raggiunto i trenta anni. Solo uomini. Un’amara sconfitta, dinanzi alla quale però Anna Kuliscioff non disarma, pessimista ma tenace. Ed ecco infatti che il 7 gennaio del 1912 fonda la rivista bimestrale «La Difesa delle Lavoratrici», che dirigerà per due anni insieme a Carlotta Clerici, Linda Malnati e Angelica Balabanoff. Nel 1914, dopo lo scoppio della guerra, le divergenze politiche con la redazione porteranno Anna Kuliscioff a ritirarsi dall’iniziativa editoriale, sulla quale, però, continuerà sempre a pesare l’eminenza del suo giudizio. Dopo la fine della guerra e l’avvento del fascismo, la rivista non ebbe vita facile. Chiuse nel 1925, anno della morte di Anna Kuliscioff. Forse non solo una accidentale coincidenza.
Proprio mentre il fascismo si affermava con tutta la sua tracotanza, Anna Kuliscioff si spegneva nel suo appartamento milanese. «È proprio difficile anche morire».
«Quando si sentì venir meno e soffocare, volle baciare tutti i suoi intimi, e si spense, senza un sussulto, senza un brivido».
Immensa la folla di persone che volle rendere omaggio alla “dottora dei poveri”, ricordata così da Pietro Nenni: «I funerali erano stati un’apoteosi per lei e per il sopravvissuto suo compagno. Ma, ai fascisti, anche l’omaggio reso a una donna insigne per sapere, preclara per carattere, da tutti stimata per la bontà senza pari, era riuscito intollerabile. Sui gradini stessi del Monumentale, mentre a mo’ di saluto io gridavo “Viva il socialismo!”, fummo aggrediti. Attorno alla bara, attorno alle corone e ai nastri, ci fu una zuffa breve e feroce dalla quale parecchi uscimmo sanguinanti e pesti. Ed era triste pensare che ciò avvenne in un cimitero e davanti alla salma di una donna che, con tutta la sua anima, con tutta la sua intelligenza aveva auspicato pace, giustizia e fraternità». […]
Filomena Fantarella, Anna Kuliscioff, enciclopediadelledonne.it